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Burkina Faso tra impensabile ritorno di Compaoré e jihad

Burkina Faso tra impensabile ritorno di Compaoré e jihadBlaise Compaoré – Ap

Clamoroso a Ouagadougou L’ex presidente, cacciato nel 2014 e condannato all’ergastolo per Sankara, lascia l’esilio in Costa d'Avorio. L'emergenza terrorismo nel paese non dà tregua, il colonnello Damiba convoca tutti gli ex capi di stato

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 luglio 2022

L’ex-presidente del Burkina Faso, in esilio dal 2014 in Costa d’Avorio, Blaise Compaoré dovrebbe tornare oggi a Ouagadougou, a otto anni dala sua cacciata e pochi mesi dopo la condanna all’ergastolo nel processo per il ruolo avuto nell’omicidio di Thomas Sankara, presidente-eroe del Burkina Faso e suo ex-compagno d’arme.

COMPAORÉ, 71 ANNI e non più lucidissimo, prese il potere con la forza nel 1987. 27 anni dopo, nel 2014, fu costretto a fuggire in seguito alle proteste popolari guidate principalmente dalle donne burkinabé. Le voci su un suo ritorno a casa giravano da settimane, sia ad Abidjan che a Ouagadougou. prefigurando uno scenario impensabile fino a pochi mesi fa: ad aprile Compaoré è stato infatti condannato all’ergastolo in un processo storico per il Burkina Faso, per il ruolo avuto nell’uccisione di Sankara durante il golpe del 1987.

Una sentenza molto criticata dai suoi sostenitori ma salutata con entusiasmo dalla maggior parte dei burkinabé e dalla stessa famiglia Sankara, che sentiva di aver finalmente «ottenuto giustizia».

Invece il passato è passato, mentre oggi ciò che fa paura – e che preoccupa molto la giunta militare al potere dallo scorso gennaio – è il futuro del Burkina Faso: il deteriorarsi della sicurezza, con intere aree del Paese sotto il controllo dei gruppi islamisti legati ad al-Qaeda e allo Stato islamico, interessa tutte le regioni del Paese fino alle porte della capitale Ouagadougou. In particolare tutta la fascia a nord, la regione del Sahel, è territorio di guerra: questa settimana il presidente Damiba ha ordinato l’evacuazione dei civili da diverse zone del Paese, per migliaia di chilometri quadrati, aree che saranno interessate da «attività militari antiterrorismo»

I MASSACRI sono tuttavia all’ordine del giorno, così come gli scontri a fuoco con esercito e gendarmi, che sembrano fiaccati dall’incessante attività jihaista. Dal 2015 il Burkina Faso è afflitto da attacchi terroristici che hanno provocato migliaia di morti e oltre 1,9 milioni di sfollati interni: alla fine di aprile oltre 80 persone sono morte a Seytenga durante una mattanza durata ore, l’attacco terroristico più grave della storia del Burkina Faso.

Il secondo evento in questa tragica classifica è invece accaduto a novembre, l’attacco con decine di vittime militari alla caserma di Inata, di cui era responsabile proprio il colonnello Paul Henri Sandaogo Damiba. Il quale, poche settimane dopo, ha preso il potere, senza riuscire a migliorare una situazione talmente critica che la settimana scorsa ha convocato i suoi predecessori, Roch Kaboré (ancora agli arresti dopo il colpo di Stato) e Jean-Baptiste Ouedraogo, per un confronto su come provare a invertire la rotta.

FORSE IL RIENTRO IN PATRIA di Compaoré fa parte di questa strategia, che sembra quasi più un disperato tentativo di prendere il toro per le corna e affrontare la minaccia islamista con rinnovate energie.

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