Dopo 39 giorni di disperate ricerche sono stati trovati martedì sera i corpi senza vita di quattro degli otto minatori dispersi dal 16 aprile scorso nelle profondità della miniera di zinco di Perkoa, in Burkina Faso. Lo ha annunciato il governo burkinabé con una nota ufficiale dai toni molto mesti. Una settimana prima, il 17 maggio, i soccorritori che da oltre un mese lavoravano giorno e notte per raggiungere la seconda camera di sicurezza della miniera, situata 120 km a ovest di Ouagadougou e di proprietà della canadese Trevali Mining, erano già stati costretti a dare la brutta notizia: la camera, seppure intatta e asciutta, era vuota. Degli otto minatori, sei burkinabé, un tanzaniano e uno zambiano, nessuna traccia.

SECONDO LA DICHIARAZIONE del portavoce del governo Lionel Bilgo, non appena questo «tragico evento» è stato annunciato sono subito riprese le operazioni di soccorso per trovare gli altri minatori «sani e salvi». Parole orientate ancora ad alimentare la speranza nei cuori dei familiari degli operai: «Purtroppo, dopo 39 giorni di intense ricerche, sono stati ritrovati i corpi senza vita di quattro minatori» ma gli altri li stiamo cercando grazie agli «infaticabili sforzi» dei soccorritori.

La speranza di ritrovarli vivi si infrangeva già una settimana fa contro la dura realtà emersa nelle viscere della terra: probabilmente il 16 aprile, quando la miniera si è allagata in seguito a un evento atmosferico molto intenso, i minatori non sono riusciti a raggiungere la camera e sono tutti morti a oltre 550 metri di profondità. Speranza infrantasi dopo 31 giorni di attesa e di polemiche.

Nelle ultime due settimane infatti il Movimento burkinabé per i diritti dell’uomo e dei popoli (Mbdhp), storica associazione burkinabè nata nel 1989, ha accusato la lentezza venata di negligenza» da parte dell’azienda canadese e del governo di Ouagadougou nello schieramento dei soccorsi, chiedendo che vengano chiaramente individuate eventuali responsabilità penali. Una denuncia che fa il paio con quella dei sindacati, che accusano la Trevali di aver scavato con la dinamite una seconda miniera in superficie, la cui realizzazione avrebbe indebolito la prima e contribuito così al disastro: gli esplosivi usati per la miniera di superficie avrebbero indebolito le gallerie che, allagatesi a causa di un evento meteorologico eccezionale, sono in parte crollate.

NEGLI ULTIMI GIORNI il governo burkinabé si è affrettato a chiarire la sua posizione, definendo «irresponsabile» l’atteggiamento della Trevali, i cui dirigenti sono attualmente bloccati nel Paese in attesa che le indagini chiariscano la loro posizione.
In effetti di ritardi ce ne sono stati parecchi: le operazioni di soccorso sono iniziate ben quattro giorni dopo l’allagamento della miniera, dalla quale in poco più di un mese sono stati pompati 100 milioni di litri d’acqua, e solo dopo un sit-in di protesta organizzato nella locale prefettura dalle famiglie e gli amici dei minatori scomparsi. Di proprietà al 90% della società canadese Trevali Mining Corporation e al 10% dello Stato burkinabè, la miniera di Perkoa è profonda 710 metri ed l’unica miniera di zinco del Burkina Faso: ha una capacità di frantumazione di 2.000 tonnellate al giorno e l’anno scorso ha prodotto 143 milioni di chili di zinco. Tuttavia sul posto è stato inizialmente impossibile trovare le attrezzature di pompaggio e da scavo necessarie per la missione di soccorso e sono dovute arrivare dal Ghana e dal Sudafrica alcune elettropompe per accelerare il ritmo del lavoro, con tutti i ritardi che inevitabilmente si sono accumulati.

NELLE DUE SETTIMANE successive al disastro i familiari dei minatori e le organizzazioni sindacali hanno più volte esortato il governo di Ouagadougou, nominato dalla giunta militare al potere dal 24 gennaio, a essere più concreto invocando l’aiuto internazionale, cosa che è avvenuta ma con grave ritardo e con effetti che sul campo sembrano non essersi visti: l’8 maggio l’Unione europea e il Marocco si sono detti pronti a dare tutta l’assistenza necessaria al Burkina Faso e hanno confermato che il governo locale aveva inviato loro un elenco di attrezzature necessarie ma non è chiaro, nel concreto, l’effetto di tale impegno né se tali attrezzature sono mai arrivate a Perkoa. Secondo i sindacati a tutto questo ritardo si somma la negligenza della Trevali per lo scavo di superficie e la mancata attuazione delle norme di sicurezza nel sottosuolo da parte dell’azienda.

MA I SOCCORRITORI e le famiglie dei minatori, una ventina di donne, mogli, sorelle e madri che da più di un mese stazionano misbahah in mano in uno spazio allestito per loro a Réo, 12 chilometri dall’imbocco della miniera, non sembrano volersi arrendere: l’ultima speranza, molto debole e forse irragionevole, è gli ultimi minatori ancora dispersi siano riusciti a rifugiarsi nell’ultima camera di sicurezza, situata in fondo al tunnel della miniera, a 710 metri di profondità.