Non è certo una sorpresa che Nayib Bukele volesse ri-candidarsi nel 2024 a presidente di El Salvador, e non è neppure una novità che per farlo era disposto, nuovamente, a premere e forzare sulle maglie del diritto del paese che governa dal 2019. Così pochi minuti prima della scadenza dei termini d’iscrizione si è presentato al Tribunale supremo elettorale (Tse) della capitale e ha sostanziato l’atto formale di candidatura per il 4 febbraio 2024.

Fuori dagli uffici del Tse l’attuale presidente ha detto che «il popolo salvadoregno deciderà se continuare a costruire il nuovo paese che stiamo costruendo e che è riconosciuto in tutto il mondo». Ad accoglierlo una folla di migliaia tra sostenitori e sostenitrici che hanno gridato «rielezione» e «non un passo indietro».

È da anni che il presidente costruisce il percorso necessario per rendersi ri-eleggibile. Tale percorso ha attraversato differenti ambiti della politica e delle istituzioni salvadoregne. Il governo Bukele si è imposto con autoritarismo, non solo con la violenta e criticata (fuori dai confini salvadoregni) lotta alle maras e alle pandillas. La popolarità del presidente in carica è elevatissima e se non saranno riscontrati principi di incostituzionalità la possibilità che Bukele torni con forza, e violenza, alla guida del paese è certa.

Un sondaggio condotto dal Centro studi cittadini dell’Università Francisco Gavidia darebbe a Nayib Bukele e al suo compagno di corsa, l’attuale vicepresidente Félix Ulloa, un vantaggio di ben 64 punti sui loro principali contendenti.

L’inconsistenza delle opposizioni si scontra, però, con un crescente malcontento nei confronti del presidente e della sua gestione del potere, tanto che nelle ultime settimane si sono viste diverse manifestazioni anti-governative attraversare le strade della capitale.
Nel settembre 2022 sono iniziate le forzature istituzionali con il titolare del Palazzo Nazionale che decise di annunciare pubblicamente, nonostante l’incostituzionalità, la sua candidatura per un secondo mandato. L’annuncio arrivò a un anno dalla sentenza della Camera costituzionale della Corte suprema di giustizia secondo cui un articolo della Costituzione avrebbe comunque lasciato la possibilità al presidente in carica di candidarsi per un secondo mandato e che spetta solo al popolo decidere attraverso l’esercizio del voto. Alcuni analisti notano come Bukele abbia inserito nell’Alta corte svariate persone di sua fiducia e non è così sorprendente che tale l’organo gli abbia strizzato l’occhio con una sentenza a suo favore.

Se il Tse accetterà la candidatura, però, l’attuale presidente dovrà dimettersi entro il primo dicembre di quest’anno e il congresso del Salvador dovrà eleggere un suo sostituto ad interim per sei mesi.

Prima di Bukele altre sei persone hanno presentato la candidatura. Sono in molti e molte a ritenere però illegale ed illegittima la sua possibile ri-elezione. Tra chi si oppone non ci sono solo avversari e avversarie di altri partiti, ma intellettuali, costituzionalisti e movimenti sociali. Intanto il presidente del partito Nuestro Tiempo, Andy Failer, ha presentato due istanze al Tse affinché la candidatura di Bukele sia respinta. Mentre per l’avvocato Abraham Abrego, della ong Cristosal «la rielezione immediata è espressamente vietata da sei articoli costituzionali, così come dallo spirito della Costituzione del 1983, che stabiliva un mandato presidenziale di cinque anni senza possibilità di rielezione immediata».