Budapest e il dilemma della Banca Internazionale d’Investimento
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Budapest e il dilemma della Banca Internazionale d’Investimento

Visegrad e oltre La rubrica sui sovranismi dell'Est Europa. A cura di Massimo Congiu
Pubblicato più di un anno faEdizione del 4 marzo 2023

Viene data per spacciata la Banca Internazionale d’Investimento (IIB), istituto finanziario per lo sviluppo dei paesi del fu Comecon. Quello che, anni fa era stato definito dal suo numero uno, Nikolay Kosov, “un piccolo pezzo di storia sovietica ancora vivo nell’Europa moderna” e che nel 2019 aveva trasferito il suo quartier generale a Budapest.

Di proprietà russa per quasi il 50% e ungherese per il 25,27%, la IIB avrebbe esaurito tutte le sue riserve di liquidità per effetto delle sanzioni Ue contro la Russia. Alla fine del mese scorso, trattando della banca, gli organi di stampa internazionali parlavano di rischio di insolvenza e/o della necessità, per essa, di ristrutturare le sue obbligazioni già a maggio.

Un “pezzo di storia”, si diceva, che dopo il collasso dell’Unione Sovietica aveva vissuto quasi un ventennio di stagnazione per essere poi recuperato da Vladimir Putin nel 2012. Sette anni dopo la sua sede veniva spostata nella capitale ungherese attraverso un’operazione che, secondo il governo Orbán avrebbe aperto nuove possibilità al paese, mentre secondo l’opposizione sarebbe stata foriera di nuovi/vecchi pericoli. Infatti, la deputata socialista Zita Gurmai aveva definito l’IIB il “cavallo di troia di Putin” e Orbán “soggetto al volere della Russia”.

La firma che sanciva lo spostamento del quartier generale della banca era stata chiamata storica proprio da Kosov, in quanto a suo avviso, l’operazione avrebbe consentito l’IIB di divenire il primo istituto di carattere finanziario per lo sviluppo avente sede nell’Europa centro-orientale e di avere importanti prospettive di crescita.

Il portale di informazione antigovernativo Index ha sempre considerato questa banca uno strumento a uso e consumo degli oligarchi del Fidesz e la stampa internazionale la ritiene un “braccio dei servizi segreti russi”.

Nove i suoi membri, fino a non molto tempo fa: Bulgaria, Repubblica Ceca, Russia, Romania, Slovacchia, Ungheria, Cuba, Mongolia e Vietnam; la banca si prefiggeva l’obiettivo di sostenere lo sviluppo delle loro economie. Con la guerra in Ucraina e le sanzioni a Mosca, i paesi europei, tranne l’Ungheria, hanno lasciato l’istituto uno dietro l’altro.

“La situazione è diventata estremamente difficile, non sappiamo se si possa salvare la banca”, ha affermato di recente Gergely Gulyás, ministro ungherese della Presidenza del Consiglio. Di fatto, il capitale dell’IIB non copre le quote dei paesi che si sono ritirati.

Lo scorso 17 febbraio l’istituto sarebbe stato colpito da un attacco informatico che avrebbe reso pubblici alcuni documenti, uno dei quali prevedrebbe l’inclusione della Serbia e un aumento della quota ungherese.

Il punto è che Budapest dovrebbe in effetti aumentare la sua partecipazione per permettere all’istituto di restare in vita. Di fatto, però, il governo presieduto da Viktor Orbán non ha ancora chiarito le sue intenzioni. Secondo il quotidiano di opposizione Népszava “si gioca alla roulette russa con i soldi degli ungheresi” e, in sostanza, gli avversari dell’esecutivo ritengono così confermate le critiche mosse nel 2019 ai fautori dell’operazione che ha reso Budapest sede della IIB.

Un’operazione che a loro giudizio ha contribuito a rendere più stretti i legami con Mosca e l’influenza politica del Cremlino sull’Ungheria, già forte per gli accordi esistenti tra le parti in ambito energetico.

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