Alle celebrazioni ufficiali svoltesi a Budapest il 23 ottobre scorso per il sessantaseiesimo anniversario dell’insurrezione ungherese del 1956, il primo ministro Viktor Orbán si è soffermato sulla guerra in Ucraina. Nel suo discorso ha infatti affermato di considerare una fortuna il fatto che la sinistra non sia al potere. “Immaginate cosa sarebbe successo”, ha detto. Premesso che è per lo meno “eccessivo” definire “sinistra” lo schieramento che lo scorso aprile si è confrontato con le forze governative, c’è da spiegare e commentare il riferimento fatto dal premier ai suoi avversari politici.

Bisogna innanzitutto ricordare il fatto che il tema in questione ha avuto un ruolo centrale nella campagna elettorale dell’esecutivo e che, nella circostanza, Orbán ha sottolineato ancora una volta la sua valenza di unico leader politico in grado di tutelare gli interessi nazionali. In questo caso li avrebbe difesi evitando il coinvolgimento dell’Ungheria nella guerra in Ucraina: “una guerra che – aveva detto – non ci riguarda”; e ancora: “gli ungheresi non devono pagare il prezzo di questo conflitto”. In tal modo ha presentato la coalizione avversaria come parte politica pronta a obbedire ai diktat dei vertici dell’Ue e disposta a far entrare il paese in guerra. Una guerra senz’altro temuta dagli ungheresi il cui territorio nazionale confina con quello ucraino. Il premier ha fatto leva su queste paure in modo strumentale ed è stato persuasivo come, del resto, hanno mostrato i risultati del voto che ha confermato il leader arancione (tale il colore del partito Fidesz) al suo posto di primo ministro. 

Certo, il conflitto tuttora in corso è oggetto di altrettanta propaganda strumentale da parte dell’Ue e della Nato, e del medesimo viene fornita una visione parziale che nega un’evidenza: l’Ucraina sta in mezzo a un braccio di ferro fra potenze contrapposte e in questa posizione paga conseguenze pesanti. Fatta questa precisazione e, tornando in Ungheria, vi è da dire che il paese dipende dalla Russia per le forniture di gas e ha stabilito accordi con Mosca in ambito nucleare. Ci sono, quindi, questi aspetti che legano le dirigenze dei due paesi oltre al fatto che il premier danubiano afferma una grande affinità di vedute con Putin per quel che riguarda la gestione del potere. 

Lo scorso 23 ottobre non ci sono state solo le manifestazioni organizzate dal governo, ma anche quelle di protesta avvenute per iniziativa di insegnanti e studenti. I primi sono in agitazione da tempo, lamentano i bassi stipendi che ricevono e accusano il governo di non opporre alcun provvedimento all’inflazione. Sostengono inoltre che l’impegno sbandierato dal governo di operare a beneficio della stabilità economica e di mantenere basso il costo delle utenze energetiche, in aumento in tutta Europa, non corrisponde a verità ma solo a parole prive di sostanza. Queste accuse sono state reiterate il giorno della manifestazione: coloro che vi hanno partecipato; non solo insegnanti e studenti ma in generale persone contrarie al sistema al potere, tra esse anche Péter Márki-Zay, candidato premier alle elezioni dello scorso aprile, hanno esposto striscioni antirussi, accusato il primo ministro di non aver preso le distanze da Mosca e deprecato la sua amicizia con Putin. In sostanza molti manifestanti ritengono che Orbán stia invitando Mosca a tornare in Ungheria e questa presenza viene da loro considerata un vero e proprio pericolo in quanto allontanerebbe Budapest dall’Europa dei principi democratici e dello Stato di Diritto. Una critica mossa al sistema da tempo ma al momento incapace di creare problemi seri all’”uomo forte di’Ungheria”. Almeno così sembra.