L’unione di intenti con Bruxelles, salutata da Giorgia Meloni dopo la lettera scritta dalla premier ai vertice dell’Unione europea, è durato poco. «La questione migranti sarà discussa al prossimo consiglio europeo, ma non adotteremo nuove conclusioni» ha spiegato ieri un fonte Ue lasciando intendere come il 23 marzo prossimo, quando a Bruxelles si vedranno i capi di Stato e di governo, molto probabilmente non verrà presa alcuna decisione. Una doccia fredda per il governo italiano che dopo la strage di Cutro aveva chiesto «azioni concrete immediate» per fermare le partenze dei barconi. E invece, all’indomani dell’ennesimo naufragio avvenuto domenica davanti alle coste libiche, l’unica risposta arrivata da Bruxelles riguarda la fornitura di nuove e più moderne motovedette alla cosiddetta Guardia costiera libica, la stessa accusata più volte di violenze contro i disperati che cercano di arrivare in Europa.

Ufficialmente nessuno lo dice, ma a palazzo Chigi cresce la consapevolezza che il prossimo Consiglio europeo sarà tutt’altro che una passeggiata per la premier. Anche perché i dati forniti dal Viminale sugli sbarchi registrati in meno di tre mesi, descrivono meglio di ogni parola il fallimento delle politiche messe in campo finora dal governo delle destre: 20.017 arrivi dal primo gennaio al 13 marzo, più del triplo rispetto allo stesso arco di tempo del 2022 quando a palazzo Chigi sedeva Mario Draghi, con la Tunisia diventata il principale punto di partenza delle imbarcazioni, E questo nonostante le missioni fatte a Tunisi a gennaio dei ministri dell’Interno e degli Esteri, Matteo Piantedosi e Antonio Tajani, proprio per discutere nuove misure per contrastare l’immigrazione irregolare.

Come se non bastasse, poi, ci sono i timori avanzati ieri mattina dallo stesso Tajani e dal ministro della Difesa Guido Crosetto in un vertice sull’immigrazione convocato da Meloni a palazzo Chigi e al quale hanno preso parte anche i vertici dei servizi segreti, circa un presunto ruolo svolto dai mercenari della Wagner nell’impennata di arrivi lungo le nostre coste. «Mi sembra che ormai si possa affermare – ha spiegato Crosetto – che l’aumento esponenziale del fenomeno migratorio che parte dalle coste africane sia anche, in misura non indifferente, parte di una strategia chiara di guerra ibrida che la divisione Wagner, mercenari al soldo della Russia, sta attuando, utilizzando il suo peso rilevante in alcuni Paesi africani».

Va da sé che anche l’allarme lanciato ieri dai due ministri, verosimilmente su informazioni fornite dei servizi, servirà alla premier per fare pressioni sull’Unione europea sottolineando ancora, ma questa volta con un argomento in più, come la sicurezza delle frontiere europee passi per la difesa di quelle italiane. In particolare Meloni tornerà a insistere perché si realizzino hotspot in Africa e Medio Oriente (proposta accolta con freddezza a Bruxelles e già bocciata in passato) e un pattugliamento europeo del Mediterraneo, anche se non è chiaro con quelli compiti. Ma soprattutto l’avvio di una cooperazione con gli Stati di origine e di transito dei migranti e per favorire l’immigrazione regolare. Punti per i quali è però necessario che vengano sbloccati i fondi promessi: 1,9 miliardi di euro dal Fondo monetario internazionale, 500 milioni annunciati dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen per realizzare 50 mila corridoi umanitari entro il 2025, soldi ai quali dovrebbero aggiungersi quelli di competenza dei singolo Stati (l’Italia dovrebbe contribuire per 110 milioni di euro).

Non sarà facile, anche perché l’Italia rischia di finire ancora una volta sul banco degli imputati per la gestione dei cosiddetti movimenti secondari. Francia, Germania, Olanda, Austria, Danimarca, Belgio, a cui si è aggiunta la Svizzera in quanto membro Schengen, hanno già presentato un documento nel quale si chiede l’applicazione di regolamento di Dublino, che impone ai Paesi di primo approdo la gestione dei richiedenti asilo. Un punto che solo tre giorni fa è stato ricordato alla premier anche dal primo ministro olandese Mark Rutte.