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Brevi dal mondo: Sudan, Mozambico, Eritrea

Brevi dal mondo: Sudan, Mozambico, EritreaProteste anti-governative in Sudan – LaPresse

Africa Il presidente sudanese Bashir promette misure per i giovani. Prima vittima di colera dopo il passaggio del ciclone Idai. La Ue denunciata da attivisti eritrei: finanzierebbe progetti che usano il lavoro forzato

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 2 aprile 2019

Proteste in Sudan, Bashir promette fondi per i giovani

Rinviato a data da destinarsi il congresso del National Congress Party, il partito di governo del presidente sudanese Omar al-Bashir: doveva tenersi il mese prossimo e nominare il suo nuovo leader dopo le dimissioni di Bashir a seguito delle proteste che dal 19 dicembre attraversano il Sudan. Di manifestazioni ce ne sono state anche nel fine settimana, puntualmente represse dalla polizia. Intanto però Bashir prova a fare qualche concessione: definendo le proteste «legittime», ha annunciato ieri anche misure per ridurre la disoccupazione giovanile, tra cui fondi per progetti di agricoltura e zootecnica e nuove città residenziali con case popolari.

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Mozambico, dopo Idai la prima vittima di colera

I casi sono già 500, raddoppiati in sole 24 ore. E ieri è arrivata la prima vittima: il ciclone Idai ha devastato il Mozambico e lo ha lasciato con un’epidemia di colera. Il contagio è partito dalla città più colpita, Beira. Nei giorni scorsi le autorità hanno lanciato una campagna di vaccinazione di emergenza nelle zone colpite dal ciclone che ha ucciso (ufficialmente) 746 persone tra Mozambico, Zimbabwe e Malawi. Ma le ricerche dei dispersi sono state interrotte la scorsa settimana.

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Ue sotto accusa: «In Eritrea finanzia il lavoro forzato»

A denunciare l’Unione europea è la Foundation Human Rights for Eritreans (Fhre): la Ue finanzierebbe progetti che sfruttano il lavoro forzato nel paese africano, nello specifico il piano per la realizzazione della strada Nefasit-Dekemhare-Senafe-Zalembessa. La somma, 20 milioni di euro, è messa a disposizione dal Fondo Fiduciario dell’Ue, secondo cui il progetto permetterà di collegare il confine etiope con i porti eritrei. A lavorarci, però, denuncia Fhre, sono gli eritrei costretti a servire l’esercito a tempo indeterminato e usati come manodopera gratuita.

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