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Bretton Woods 2.0 all’epoca della policrisi e del clima al collasso

Bretton Woods 2.0 all’epoca della policrisi e del clima al collassoIl presidente francese Emmanuel Macron – Ap

Finanza A Parigi la conferenza per un nuovo patto finanziario mondiale. 50 capi di stato, ong e società civili al tavolo per lotta alla povertà e al climate change

Pubblicato più di un anno faEdizione del 22 giugno 2023

Di fronte alle poli-crisi che sconquassano il mondo, come trovare una strada che concili Nord e Sud, lotta alla povertà e lotta al cambiamento climatico, superamento della paralisi dell’Onu o del G20, a causa dell’aggressione russa in Ucraina, rischio di default di molti paesi troppo indebitati mentre l’inflazione irrigidisce le politiche monetarie?

LA FRANCIA ospita, oggi e domani a Palais Brongniart (ex Borsa valori), con tavole rotonde all’Unesco e all’Ocse, un summit internazionale per gettare le basi di un nuovo Patto finanziario mondiale: saranno presenti tra 40 e 50 capi di stato e di governo, dal cinese Li Qiang al brasiliano Lula, il sudafricano Ramaphosa e il saudita (non più ostracizzato) MbS, passando per von der Leyen e Scholz, la segretaria al Tesoro Usa Yellen e i presidenti delle istituzioni finanziarie mondiali.

Metà dei partecipanti sono esponenti della società civile, rappresentanti di ong, specialisti dello sviluppo. L’invito congiunto è di Emmanuel Macron e della prima ministra delle Barbados, Mia Mottley, che alla Cop27 in Egitto nel 2022 aveva presentato il quadro di una riforma dell’architettura finanziaria mondiale, non più adatta alla situazione.

L’ambizioso obiettivo del vertice è gettare le basi per una riforma profonda delle istituzioni di Bretton Woods (Fmi, Banca mondiale), nate nel 1944 e che hanno bisogno di rinnovarsi per rispondere alle sfide attuali. La speranza è di raggiungere un «consenso di Parigi» sulla conciliazione tra «lotta alle ineguaglianze, lotta al cambiamento climatico e protezione della biodiversità», afferma Macron, di cui le prime vittime sono i paesi poveri non responsabili del riscaldamento.

Aveva colpito alla Cop26 il messaggio del primo ministro di Tuvalu, con i piedi nell’acqua e da allora numerose catastrofi ambientali si sono abbattute sui paesi poveri incapaci di farvi fronte. Il Cnued (Conferenza Onu su ambiente e sviluppo) ha calcolato che per continuare la lotta alla povertà e al tempo stesso combattere e adattarsi al disordine climatico, sarebbero necessari 2.400 miliardi di dollari l’anno, di qui al 2030. Ma l’aiuto pubblico allo sviluppo stagna, è ora lo 0,36% del Pil dei paesi ricchi, che nel lontano 1970 avevano preso l’impegno di portarlo almeno allo 0,7%.

Alla Conferenza Onu sui cambiamenti climatici di Copenhagen, nel 2009, era stato promesso di versare 100 miliardi l’anno ai paesi poveri: forse quest’anno sarà finalmente raggiunta la cifra, ma solo grazie a montature tecniche, che addizionano veri aiuti con interventi di altro tipo (il Belgio, per esempio, ha fatto passare per aiuto allo sviluppo il finanziamento di un film romantico in Argentina).

La mondializzazione ha permesso in trent’anni di dimezzare la povertà nel mondo (anche se ha diminuito il reddito delle classi medie dei paesi ricchi), ma ora l’Onu segnala che dal 2021 l’indice dello sviluppo umano è in calo. Al tempo stesso, le popolazioni del Nord globale sono meno disposte alla generosità, più preoccupate di conciliare in casa «la fine del mese con la fine del mondo».

UNA PISTA allo studio, dibattuta in queste ore a Parigi, è la riforma dei Diritti speciali di prelievo del Fmi: si tratta di 650 miliardi di dollari, una parte – 100 miliardi – potrebbe essere destinata ai paesi più a rischio clima, individuati attraverso un nuovo calcolo della vulnerabilità.

Le Barbados hanno proposto di aumentare le capacità di credito delle banche dello sviluppo, dalla Banca mondiale agli istituti privati, con un nuovo modo di calcolo dei compensi per «perdite e danni». Da Bretton Woods la situazione e i contributori sono cambiati. Oggi un terzo del debito degli stati è nelle mani della Cina (un accordo con lo Zambia per rinegoziare il debito potrebbe intervenire in queste ore, sarebbe un segnale importante).

Nel «consenso di Parigi» dovrebbe esserci anche la decisione di tassare il trasporto marittimo (il passo ufficiale dovrebbe essere preso a luglio, all’Organizzazione marittima Internazionale), che sta accumulando profitti e continua a godere dell’esenzione fiscale (il commercio sui mari è responsabile del 3% delle emissioni mondiali di Co2).

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