Educazione, lavoro e salario. Sono le richieste urlate con forza dalle donne afghane protagoniste del documentario Bread and Roses della regista Sahra Mani. Presentato fuori concorso, il film è una testimonianza importante per capire cosa che accade nel Paese da quando i talebani ne hanno preso il controllo. Non è stato girato direttamente da Mani, la regista è infatti partita per un festival cinematografico in Europa pochi giorni prima del caos che ha seguito l’annuncio dell’abbandono del Paese da parte delle truppe Usa, e non è più tornata da allora. «Ho chiuso la porta del mio appartamento senza sapere che non l’avrei riaperta» ha dichiarato.

SONO LE DONNE che sono rimaste a Kabul a girare il film con piccole videocamere e telefonini. E quello che Bread and Roses – prodotto dall’attrice statunitense Jennifer Lawrence – ci mostra è un tipo di lotta meno ideologica rispetto a quella a cui siamo abituati, ma più viscerale, come una spinta legata al volerci essere, al non accettare di soccombere. Questo gruppo di donne si ritrova regolarmente nello studio di Zahra, una dentista. I talebani non le hanno ancora impedito di lavorare ma le hanno chiesto di togliere il suo nome femminile dall’insegna. In maniera spontanea il gruppo scende per strada a più riprese con cartelli e cori, sfidando l’oppressione quotidiana per denunciare lo shock che le loro vite hanno subito, con la chiusura di tutte le scuole femminili e l’impossibilità di perseguire qualsivoglia carriera. La repressione, come ci si può aspettare, non tarda ad arrivare. Ma queste donne ci consegnano un’immagine vivida di resistenza intesa come forma di vita che prescinde da mezzi, strategie e mire politiche. È una lotta per la sopravvivenza che non può non interrogarci.