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Brasile, l’assalto degli agrari alle terre indigene ora è legge

Brasile, l’assalto degli agrari alle terre indigene ora è leggeSan Paolo, manifestanti indigeni contro la legge che resuscita il «marco temporal» – Ap

Dovranno dimostrare di abitarle da prima della Costituzione dell’88: è il "marco temporal"

Pubblicato più di un anno faEdizione del 1 giugno 2023

Un altro giorno buio per la democrazia brasiliana. Tra le proteste dei popoli originari, la Camera dei deputati ha approvato, con 283 voti favorevoli, 155 contrari e un’astensione, quello che la ministra dei Popoli indigeni Sônia Guajajara ha definito un «genocidio istituzionalizzato» e un «capovolgimento» della storia del paese: l’applicazione di un marco temporal alla demarcazione delle aree indigene.

CON IL VIA LIBERA al progetto di legge (Pl) 490, i deputati hanno cioè riconosciuto il diritto alla terra solo a quei popoli in grado di dimostrare la loro presenza nell’area rivendicata alla data di promulgazione della Costituzione, il 5 ottobre del 1988, cancellando con un colpo di spugna tutto il processo di espulsioni violente e di massacri realizzato prima e durante (e anche dopo) il regime militare. Oltretutto in violazione della Costituzione del 1988, in base a cui il governo avrebbe dovuto consegnare ai popoli indigeni le terre tradizionalmente occupate – senza alcun limite temporale – entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, vale a dire entro il 1993.

Di anni ne sono passati trentae se non c’è stato, da allora, un solo governo che abbia preso realmente sul serio il dettato costituzionale, il Pl 490, se venisse approvato in via definitiva, rappresenterebbe l’attacco più duro ai popoli indigeni dal ritorno della democrazia.

OLTRE A IMPORRE la tesi del limite temporale, il testo, come se non bastasse, proibisce l’ampliamento delle terre indigene già demarcate, ne indebolisce l’uso esclusivo da parte delle comunità, dà il via libera alla cooperazione tra indigeni e non indigeni per attività economiche, autorizza il contatto con i popoli isolati in caso di «azione statale di utilità pubblica».

Immensa, naturalmente, la soddisfazione della bancada ruralista: «È un progetto audace che metterebbe fine alla guerra tra indigeni e produttori», ha commentato il deputato bolsonarista Zé Trovão. «È una delle questioni più importanti per il Brasile, per il congresso, per la pace nei campi», ha evidenziato il parlamentare di centro-destra Arthur Oliveira Maia, sottolineando come l’attuale legislazione sia fonte di insicurezza giuridica e favorisca «autodichiarazioni» funzionali alla creazione di riserve indigene.

DI QUESTE PRESUNTE «autodichiarazioni» la più nota è quella degli indigeni Xokleng, la cui rivendicazione di una parte della loro terra ancestrale nel Rio Grande do Sul è al centro della discussione sul marco temporal presso la Corte Suprema, che riprenderà il 7 giugno: un popolo perseguitato ed espulso violentemente dal suo territorio nel XIX e XX secolo, per far spazio prima ai coloni europei e poi alla costruzione di una diga sul fiume Itajaí, iniziata durante la dittatura.

MA È SOLO un esempio tra innumerevoli altri: durante il regime militare, e anche prima, l’azione combinata di interessi economici e potere politico ha espulso dalle loro terre e sterminato intere comunità indigene in tutto il paese, con tanto di certificati emessi dalla Funai (l’allora Fondazione nazionale dell’indio) per attestare l’assenza di popoli originari in determinate aree e consentire così la concessione, illegale, di titoli immobiliari.

QUEGLI INTERESSI economici non sono certo meno potenti oggi, neppure all’interno di quel fronte ampio che sostiene il governo Lula e ne costituisce al tempo stesso la principale debolezza: se il Pt e la tutta sinistra hanno votato compattamente contro il progetto, l’83% dei parlamentari dei partiti Mdb, Psd e União Brasil – partiti a cui sono stati assegnati ben nove ministeri – si sono espressi a favore.

LA BANCADA RURALISTA, tuttavia, non può ancora cantare vittoria: se il Pl 490 venisse approvato anche al Senato e ricevesse il via libera di Lula (il quale tuttavia è assai probabile che porrà il veto), potrebbe ancora essere dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema.

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