Marc Botenga è stato appena rieletto europarlamentare del gruppo The Left-La Sinistra ed è esponente del Partie du Travail de Belgique (Ptb), formazione di estrema sinistra che ha ottenuto un buon risultato alle Europee (5,6%) e addirittura ottimo alle elezioni federali e regionali in Belgio.

L’estrema destra vince in Francia e Italia, avanza con forza in Germania e non solo. Come se lo spiega?

C’è un disagio, che si vede molto nei due grandi paesi che lei ha citato, e in Germania particolarmente all’Est. È causato in primis dalla situazione sociale. Lo vediamo ad esempio nei Paesi bassi, dove negli ultimi dieci anni il numero di persone che dipende dalle banche alimentari è esploso: da 8.000 nel 2018 a più di 100.000. Ora, la gente è arrabbiata e perfino disperata. Così cerca alternative nei partiti non tradizionali, che hanno buon gioco quando addossano la colpa della crisi alle minoranze: gli immigrati o magari ai gay.

Poi c’è il caso del Belgio, dove nonostante la destra fiamminga, più o meno estrema, sia arrivata in testa, il Ptb è cresciuto molto.

Siamo uno dei vincitori delle elezioni e non era scontato. Anni fa si consideravano le Fiandre di destra senza possibilità di uno spazio per la sinistra radicale. Eppure, oggi passiamo quasi al 9% nelle regioni fiamminghe. La spiegazione è che raccogliamo lo scontento anche noi, ma lo facciamo dicendo che i responsabili non sono gli immigrati, ma un’altra minoranza, che è quella dei super-ricchi. Così siamo riusciti a imporre temi di sinistra come la tassa sui milionari, la necessità di aumentare gli stipendi. Perfino ad Anversa, una delle fortezze storiche dell’estrema destra, oggi siamo secondo partito.

Left resta il gruppo più piccolo ma per la prima volta accoglierà eletti dall’Italia, tra loro Ilaria Salis e Mimmo Lucano.

Che ci siano almeno due italiani nel gruppo di quella che chiamo “sinistra autentica” mi pare un segnale positivo e faccio i complimenti ai compagni italiani per questo risultato. Quanto a Ilaria Salis, mi auguro che, in quanto eletta, possa godere dei diritti che ne conseguono.

Gli eurodeputati eletti in Bsw di Sahra Wagenknecht sono attualmente una tra le molte delegazioni non affiliate all’eurocamera, tanto che si è parlato della possibilità di formare un nuovo gruppo parlamentare insieme a M5S. Però si cita anche l’opzione Left. Voi avete trattative in corso? E vede ostacoli ad una loro possibile adesione?

In queste ore i negoziati vanno in tutte le direzioni. Posso dire che dentro Left c’è un dibattito, che nei giorni scorsi abbiamo ascoltato ipotesi e voci sulla possibile formazione di un nuovo raggruppamento, che però dipende dai numeri che riescono a raggiungere (servono un minimo di 23 deputati da 7 paesi diversi). Quindi, la prima domanda è: Bsw vuole unirsi a The Left o no? Certo, ha ottenuto 6 seggi, il doppio rispetto a Die Linke. Ma considerando che proprio con loro hanno fatto una scissione, l’eventuale ok dovrebbe arrivare anche dai Linke.

Ma sulla sostanza politica vi trovate?

I temi di dibattito rispetto a Bsw sono noti: politica estera e immigrazione. Personalmente posso dire soltanto che conosco tanti di loro quando erano in Die Linke e conosco Fabio De Masi, che è stato già europarlamentare: lui è un uomo di sinistra, ma non posso pronunciarmi sugli altri eletti, che non conosco.

In questi giorni sono in corso altre trattative, quelle per i top jobs. Come valuta von der Leyen? E quali sono le richieste di Left alla prossima Commissione?

Per noi lei è impossibile da sostenere. La bocciamo dal punto di vista politico, dato che ha fatto malissimo sulla giustizia fiscale, sulla crisi energetica ci ha messo un anno per mettere in campo misure minimamente attente al sociale. E poi gli scandali dei contratti Pfizer e il clientelismo del caso Pieper. In ogni caso, il Ppe è pronto a rifare una coalizione, sostenuta anche su punti singoli dai Verdi. Staremo a vedere se ci sarà sostegno anche da destra, dato il feeling tra von der Leyen e Meloni.

L’ipotesi Mario Draghi sembra perdere forza, ma come valuta il programma che l’ex presidente del Consiglio italiano ha tracciato con il Rapporto sulla competitività in Europa.

Il problema è già nel titolo. Il termine competitività viene utilizzato per sponsorizzare certe grandi imprese che fanno già super profitti: il settore militare, l’energetico, il farmaceutico. Poi è vero che nel Rapporto Draghi si trovano spolverate di sinistra, ma in un quadro dove c’è un ritorno all’austerità. E poi lui incarna il contrario delle politiche sociali di cui abbiamo bisogno.