A São Luis «il fascismo non passerà»
Nel Brasile che resiste a Bozo Quando entro nel grande auditorio centrale dell’Università federale di São Luis, nel Nord del Brasile, sono accolto da Bella Ciao, la registrazione di una versione in italiano. Sullo schermo dietro […]
Nel Brasile che resiste a Bozo Quando entro nel grande auditorio centrale dell’Università federale di São Luis, nel Nord del Brasile, sono accolto da Bella Ciao, la registrazione di una versione in italiano. Sullo schermo dietro […]
Quando entro nel grande auditorio centrale dell’Università federale di São Luis, nel Nord del Brasile, sono accolto da Bella Ciao, la registrazione di una versione in italiano. Sullo schermo dietro al tavolo dove si svolgerà la conferenza annunciata, una immagine di un corteo anni Settanta, dove giovani tengono un grande striscione con la scritta «Il fascismo non passerà». E sopra si legge il titolo della lezione, Fascismo ontem e hoje, il fascismo ieri e oggi: è il tema più volte affrontato in questo viaggio nelle università brasiliane, come ho già scritto. Si tratta quasi di un’ossessione dei giovani e meno giovani intellettuali brasiliani. Studenti e docenti si interrogano, fra timore e speranza, sulla possibilità che il governo reazionario di Jair Bolsonaro, e della sua accolita di militari, e no, possa davvero diventare una forma attuale del modello fascista. E chiedono aiuto per meglio comprendere, e lottare più efficacemente.
La sala è colma, e si percepisce come e più che altre volte, entusiasmo, voglia di entrare subito nel vivo del tema, anche se qui sempre le conferenze, specie se fatte da stranieri, sono introdotte e chiuse da cerimoniosi saluti nei quali nessuno viene dimenticato. E, come sempre, la parte non più attesa, ma più importante dal punto di vista del conferenziere, e anche la più impegnativa, è il debate, che è un susseguirsi di interventi, che il coordinatore della mesa, cioè chi presiede, di solito organizza in blocchi di tre. E le domande, come già accaduto a Campinas, sono domande prevalentemente politiche, anche se non mancano le richieste di approfondimenti teorici e arricchimenti storici.
São Luis è la capitale dello stato del Maranhão, di circa 1.200.000 abitanti, ed è la terza delle città “nere” del Brasile, dopo Santos e Bahia, ossia con la più alta percentuale di popolazione di origine africana. E ha la peculiarità di essere la sola città di fondazione francese. Accadde al principio del secolo XVII, ma fu una breve presenza: i francesi vennero sloggiati dagli olandesi, ai quali seguirono i portoghesi, e il centro storico – patrimonio dell’umanità, nella lista Unesco – è tutto portoghese, con bellissimi palazzi ricoperti di azulejos. Un centro peraltro del tutto degradato, nel quale non è consigliabile passeggiare dopo una certa ora.
Il campus della UFMA, Universidade Federal do Maranhão (i brasiliani vanno matti per gli acronimi e incredibilmente ognuno, nel mondo accademico sa individuare un ateneo dal susseguirsi di lettere dell’alfabeto, di solito 4), è vivace e selvaggio: quasi un pezzo di foresta, e gli studenti si assiepano nelle zone d’ombra. Il sole è potente, la calura a volte opprimente, e siamo ancora in inverno, qui. Studenti e docenti spesso sono indistinguibili, in bermuda i maschi, pantaloncini le ragazze, e infradito hawaianas ai piedi. Tutto molto fluido, e la cordialità profusa a pieni abbracci e baci, insieme col caffè che scorre a litri davanti alle aule, in improvvisati banchetti che vendono doces, o salgados, per pochi spiccioli. Ma ovunque vi sono banchetti di libri, sia ufficiali, ossia di librerie o talvolta di editori, sia di ragazzi che fanno commercio di cultura.
Dopo la lezione, vengo prelevato e portato fuori dal campus, a distanza di qualche chilometro, in una sorta di rifugio segreto, una stanzetta buia, senza finestre, in fondo a un cunicolo: là c’è un piccolo studio tv, semiclandestino, quasi impossibile da scovare (non oso chiedere se sia per scelta o per necessità finanziaria), dove si respira a fatica, per l’umidità, e la ridotta ossigenazione dell’aria. Mi aspettano una giornalista e una tecnica, e insieme con la collega che mi ha accompagnato in automobile (qui nella UFMA il corpo docente è prevalentemente femminile), imbastiamo un dibattito davanti a una videocamera.
Tema? Naturalmente il fascismo, le diverse sue espressioni ideologiche e concrete, ovviamente Bolsonaro, e le sue politiche e, questo il cuore del discorso, quali strategie pensare e mettere in campo per fermare l’onda nera. Ossia come resistere, come dar vita a quella «Internazionale Antifascista» che sto proponendo un po’ dappertutto: idea che a studenti e docenti sembra piacere. Ma molti vorrebbero immediatamente tradurla in termini operativi.
Come si fa? Da dove cominciamo? Mi rendo conto che le loro urgenze sono diverse dalle mie, e da quelle di noi europei, che pure abbiamo il fascismo in casa, sia per nascita, illo tempore, sia per una sua inattesa riproposizione, nelle più diverse forme, dalla Germania all’Italia, dall’Ungheria alla Grecia, dalla Polonia all’Ucraina, dove è addirittura al governo, sub specie di neonazismo. Sento, in quell’ambiente asfittico una tensione ideale e una volontà politica che mi riporta ai nostri anni Settanta, e ripenso all’immagine che ho trovato dietro la cattedra arrivando all’anfiteatro: «Il fascismo non passerà».
3 – Continua
(la prima e la seconda puntata sono uscite rispettivamente il 17 e il 21 settembre 2019)
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