Boris Johnson a giudizio, «ha mentito durante la campagna sulla Brexit»
Regno unito Tegola sul candidato premier, mentre la Scozia si prepara per un secondo referendum secessionista
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Fu tra gli slogan più efficaci – assieme al take back control – nell’ottenere la vittoria del Leave quel famigerato 23 giugno 2016: a zonzo per il paese sulla scocca di un pullman rosso della Leave campaign co-capitanata dai conservatori Michael Gove e Boris Johnson, sosteneva che il Regno Unito versasse settimanalmente 350 milioni di sterline (circa 400 milioni di euro) nelle casse dell’esosa Unione europea. Sarebbe bastato votare leave per deviare quel rivolo di soldi nelle esangui (per le politiche Tory di austerity, cos’altro?) casse della sanità pubblica. Uno dei dispositivi propagandistici più efficaci e discussi di tutta la campagna referendaria, insomma.
Peccato fosse una bufala. Ieri Johnson è stato convocato in tribunale con l’accusa di comportamento scorretto in pubblico ufficio, in pratica di aver mentito. L’accusa gliela muove privatamente un gruppo di eurofili che ha raccolto i denari necessari attraverso crowfunding. Ritengono Johnson «irresponsabile e disonesto», reo di aver fuorviato l’opinione pubblica con una falsa affermazione pur giurando di non voler mettere in nessun modo in discussione l’esito referendario. Dal canto suo l’accusato ricusa: non si tratterebbe che di una mossa architettata proprio a tal fine.
La tegola cade sulle bionde chiome di Johnson proprio all’immediata vigilia della procedura d’elezione del prossimo leader conservatore nonché premier, nella quale è favorito grazie al suo virulento euroscetticismo. Mentre da Edinburgo riecheggiano le fanfare di Braveheart: il parlamento scozzese ha pubblicato una legge apripista per un controverso, futuro secondo referendum sull’indipendenza. Il primo, nel 2014, si era concluso di buon margine con la vittoria degli unionisti.
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