Marta Bonafoni, coordinatrice della segreteria Pd. La leadership di Schlein è uscita rinforzata dalla riunione della direzione? Ci sono state molte critiche.

È stata una riunione lunga, una discussione franca e sincera, come deve essere in un partito che affronta le questioni interne con l’ascolto, la sintesi e poi le decisioni. Siamo l’unico partito italiano che ha una democrazia interna funzionante.

Quale sintesi avete trovato?

C’è stato un voto unanime sulla proposta di Schlein di una mobilitazione in sette punti per l’estate. Ma è stata anche l’occasione per ricordarci che chiuderci in un dibattito autoreferenziale non fa bene alla credibilità del Pd, che il nostro avversario è la destra di Meloni e che il nostro comune obiettivo è rispondere a chi aspetta da noi un’alternativa, parlando dei bisogni e delle aspettative delle persone più in sofferenza attraverso una nostra agenda sociale.

Siete stati accusati di non avere una linea chiara, di andare a rimorchio delle manifestazioni degli altri, dai sindacati alle associazioni per i diritti civili fino alla presenza di Schlein sabato 17 alla piazza del M5S.

La linea sono le proposte che la segretaria ha fatto in direzione, dal Pnrr a una dura battaglia contro l’autonomia differenziata, per il lavoro e la conversione ecologica, ricevendo due minuti di applausi. Quanto alla piazza del M5S, Schlein ha portato un saluto, da leader della principale forza di opposizione. Altro che subalternità. È andata lì anche per lanciare un messaggio a quel popolo, alla piazza e non al palco. Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio il 42% delle famiglie che percepivano il reddito di cittadinanza l’ha perduto a causa delle decisioni del governo, siamo già a -28% di risorse spese per combattere la povertà. Il Pd è il primo responsabile della costruzione di una alternativa progressista, i consensi che Schlein ha ricevuto dentro e fuori il Pd ci dicono che ha fatto bene a partecipare. Il saldo è decisamente positivo.

Le parole di Grillo vi hanno infastidito?

Non mi fa più ridere da molto tempo. Ma insisto. Dove c’è protesta e conflitto contro le politiche reazionarie del governo, noi abbiamo il dovere di stare. Così sarà anche sabato per la manifestazione per la sanità pubblica organizzata dalla Cgil e altre associazioni e vale per i Pride. Ancor più dopo la decisione mostruosa dei giudici di Padova di rendere orfani di fatto oltre trenta bambini figli di famiglie omogenitoriali. Una decisione figlia della cultura che questo governo sta portando avanti.

Veramente si tratta della decisione di un tribunale.

C’è un nesso tra queste decisioni e le scelte che la maggioranza sta facendo in Parlamento, dal respingimento della direttiva europea sui figli delle famiglie arcobaleno, alla circolare del Viminale all’orrore della legge ora alla Camera sulla gestazione per altri. C’è un disegno di società e di famiglia reazionario che dobbiamo contrastare con ogni mezzo, dalle aule alle piazze.

Schlein ha parlato di estate «militante». Cosa significa in concreto?

Significa passare l’estate nelle piazze e nei circoli del Pd, con i nostri parlamentari e dirigenti locali e nazionali, a spiegare cosa significa perdere i fondi del Pnrr, cui questo governo non crede: non è una formula astratta, si tratta di asili nido, sanità di territorio, riconversione ecologica. E significa alzare la voce contro l’autonomia differenziata, facendo esprimere i consigli comunali da nord a sud contro questo progetto che aumenta le diseguaglianze.

E tuttavia la sensazione è che non siate ancora riusciti a prendere le misure a un governo di estrema destra che ha un forte consenso, un fatto inedito per l’Italia.

È una destra peggiore di quella che negli anni 90 Berlusconi aveva riunito attorno a sé. E ha una forza di narrazione senza precedenti, come abbiamo visto questa settimana con la santificazione del Cavaliere a reti unificate. La sinistra oggi non può limitarsi a essere “anti”, ma provare a darsi una nuova identità, farsi percepire utile per i 17 milioni di italiani che non votano più. Il nostro compito è far rinascere una speranza nel futuro in una società rassegnata. La vittoria di Schlein alle primarie nasce da questa richiesta, ma c’è un grande cammino da fare. E non basta fare opposizione.

Nel Pd c’è una parte che non vorrebbe cambiare nulla rispetto alle scelte fatte in passato. E che vi guarda con sospetto.

Dagli elettori delle primarie è arrivato un mandato chiaro, e i risultati si vedono già: più iscritti, una crescita nei sondaggi, un lavoro di ricucitura che è appena iniziato.

Teme un logoramento della leader?

Ci siamo già passati dai segretari incompiuti. La nostra gente ora vuole discontinuità, anche da chi è stato protagonista di quelle vicende. Se il Pd fallisce non c’è alternativa alla destre.

Ci sono due partiti in uno?

I riformisti lunedì in direzione hanno detto di voler restare e dare una mano, hanno usato parole costruttive. Io mi sento una riformista, anche se radicale. Ho molto apprezzato le parole del cardinale Zuppi al funerale di Flavia Franzoni, quando ha parlato di «radicalismo dolce». Questa è la strada che dobbiamo seguire.

Lei è consigliera regionale del Lazio. Che effetto le ha fatto l’addio al Pd di Alessio d’Amato, ex candidato alla Regione, motivata con la presenza della segretaria nella piazza M5S?

Non sono stata sorpresa. La sua candidatura è nata con l’effetto di escludere un’alleanza con il M5S, di fatto facendoci perdere le elezioni prima del voto. La sua decisione è solo l’esito di un percorso già segnato. Evidentemente per lui il discrimine verso i 5S è una cosa molto seria, la piazza è stata solo un pretesto.

La guerra è uno dei temi più delicati. Appena provate a parlare di pace venite assaliti dai falchi atlantisti, mentre anche Biden parla di rischio nucleare.

Il Pd è per il sostegno all’Ucraina, anche militare, e non c’è nessuna equidistanza.

Schlein è costretta a ripeterlo quasi ogni giorno.

Eppure è così chiaro. Ma in un mondo che parla solo di armi sentiamo il dovere di far crescere la dimensione della pace, affermare l’idea che serve una trattativa. Grazie al Pd il Parlamento italiano ha stabilito che i fondi del Pnrr non saranno usati per le armi. Siamo molto soddisfatti. Il compito di una forza progressista è battersi per una mediazione, non rassegnarsi. Non c’è nessuna incompatibilità con il sostegno a Kiev.