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Bombe turche sull’Autonomia siriana, nel mirino ci sono i civili

La protesta di ieri a Qamishlo durante i funerali delle vittime dei raid turchi (Foto: Npa)La protesta di ieri a Qamishlo durante i funerali delle vittime dei raid turchi – Npa

Medio Oriente Colpiti ospedali, fabbriche, impianti elettrici. Al buio 2.600 villaggi. Otto uccisi, per loro Qamishlo scende in piazza. Sdf: «Non staremo in silenzio»

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 27 dicembre 2023

Con gli occhi del mondo posati altrove, la Turchia prosegue indisturbata nello stillicidio di vite umane e infrastrutture nella Siria del nord-est. Anche qui è stato un Natale di bombe, parte di una più vasta operazione militare che senza soluzione di continuità tenta di disintegrare da anni l’esperienza democratica nata dal confederalismo teorizzato dal fondatore del Pkk, Abdullah Ocalan.

Dal 23 dicembre l’aviazione turca e l’artiglieria da terra sta prendendo di mira diverse zone del Rojava, il Kurdistan occidentale, provocando otto vittime, decine di feriti e colpendo infrastrutture civili.

Nel mirino, in particolare, c’è stata Qamishlo, la città-capoluogo che ieri ha risposto in massa: decine di migliaia di persone hanno preso parte ai funerali dei civili uccisi, le bare avvolte nei colori del Kurdistan, simbolo da anni di una rivoluzione che supera i confini etnici e religiosi. In testa al corteo i poster con i volti delle vittime, donne e uomini, sulle loro bare fiori bianchi.

SECONDO I DATI forniti dall’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est (Aanes), in 72 ore la regione ha subito 40 raid aerei, di cui sette compiuti da caccia e 33 da droni. Come accade ormai da tempo, l’aviazione turca ha colpito le infrastrutture necessarie alla vita civile, già provata da anni di isolamento ed embargo: a Qamishlo sono stati distrutti un ospedale per la dialisi (l’unico della regione), una fabbrica di bombole di ossigeno, due industrie edili, una manifattura tessile, un magazzino alimentare, un impianto elettrico e una stamperia (sei degli otto uccisi lavoravano qui).

L’ospedale è stato colpito di notte: un video mostra le fiamme invadere gli interni dell’edificio. E ancora, una stazione di benzina, un deposito di carburante, un magazzino di cemento e un mercato nel quartiere di El-Alaya. Lungo il confine turco-siriano, ad Amude (a nord di Hasakah) sono stati distrutti magazzini di olive e di grano e una sala per ricevimenti.

Più a ovest, a Kobane, città simbolo della resistenza allo Stato islamico e della liberazione dall’occupazione islamista, l’esercito turco ha bombardato – tra gli altri – una fattoria e una clinica sostenuta da Medici senza Frontiere e ora coordinata dalla Heyva Sor, la Mezzaluna curda.

L’obiettivo sembra palese: spargere terrore tra la popolazione e privarla dei mezzi necessari alla vita civile e alla sussistenza, devastando piccole fabbriche, cooperative, fattorie. Un attacco pesantissimo, su larga scala, lungo tutta la frontiera che ha lasciato senza elettricità 2.600 villaggi: l’impianto elettrico di Qamishlo li serviva tutti, e tutti sono piombati nel buio. E nel silenzio: i jet di Ankara hanno colpito anche tre stazioni radio tra Derik, Dirbesiye e Qamishlo.

«Non resteremo in silenzio – risponde Ferhad Shami, portavoce delle Forze democratiche siriane (Sdf), la federazione di unità di autodifesa multietniche e multiconfessionali dell’Amministrazione – La coalizione internazionale deve chiarire la sua posizione. Questi attacchi minano le nostre operazioni congiunte contro l’Isis».

IL RIFERIMENTO è a quello Stato islamico per cui Stati uniti e paesi europei hanno riconosciuto sostegno alle Sdf negli anni passati e che oggi più di un governo crede un ricordo del passato. L’Isis però c’è ancora, annidato nel deserto, operativo in cellule invisibili ma mortifere. «Soprattutto negli ultimi tre mesi – il commento di Hisên Osman, presidente del consiglio esecutivo dell’Aanes – (la Turchia) attacca senza sosta le nostre regioni, le infrastrutture, i pozzi di petrolio e le istituzioni. (…) Con questi attacchi vuole rinvigorire l’Isis».

Sullo sfondo, c’è la più strutturale politica del presidente turco Erdogan, un allargamento militare e ideologico nella regione che oggi trae linfa nell’offensiva israeliana contro il popolo palestinese mentre prosegue nei rapporti commerciali e militari con Israele.

Il Kck, l’Unione delle Comunità del Kurdistan (federazione di partiti che si ispirano al confederalismo democratico), lo sa bene. Ieri lo ha ribadito: «Quello che viene fatto in Rojava non è diverso da quello che viene fatto a Gaza. Svela quanto lo Stato turco, il governo dell’Akp ed Erdogan siano ipocriti e disonesti riguardo la Palestina».

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