Non si placano i bombardamenti sui territori ucraini. Secondo fonti governative di Kiev, i missili nemici hanno colpito 10 regioni da est a ovest causando tre morti e circa 10 feriti. Nella notte i cosiddetti droni kamikaze di fabbricazione iraniana hanno sorvolato nuovamente la capitale, ma il comando operativo «nord» ucraino ha riferito che non si registrano danni sostanziali. Anche perché 11 dei 14 velivoli sarebbero stati abbattuti in volo.

Stando a quanto riporta la testata Ukrainska pravda, che a sua volta cita l’amministrazione militare della capitale, «nove droni sono stati abbattuti nello spazio aereo intorno a Kiev. L’attacco è stato effettuato in due ondate, il raid aereo notturno a Kiev è durato cinque ore e mezza. Secondo i dati preliminari, non ci sono state vittime o colpi alle strutture infrastrutturali».

Più a ovest, nella città di Khmelnytskyi, almeno un civile è rimasto ucciso e diversi feriti nell’ennesimo bombardamento russo su quest’area. Nelle ultime due settimane Khmelnytskyi è stata più volte oggetto delle attenzioni degli artiglieri russi e viene spontaneo chiedersi cosa si cerchi in questa regione semi-sconosciuta a 300 km da Kiev.

ANCHE IL DONETSK è stato colpito in più punti. Nella zona di Konstantinivka, dove passa attualmente l’unica strada aperta per Bakhmut, un bambino è rimasto ferito la scorsa notte mentre a poca distanza i due eserciti continuano a fronteggiarsi senza esclusione di colpi.

Lontano dal fronte si continuano a immaginare i prossimi mesi. I servizi segreti britannici iniziano ad avanzare l’ipotesi che se l’Ucraina non riuscirà a vincere entro quest’anno, la Russia sfrutterà il dilatarsi della guerra a suo vantaggio. Resta sempre da chiarire cosa voglia dire «vittoria» in un momento delicato come questo.

Il ritiro delle truppe russe oltre i confini precedenti al 24 febbraio 2022? Poco probabile, per il Cremlino si tratterebbe di giustificare migliaia di morti senza nessuna nuova conquista da esibire come trofeo. La riconquista di una parte di territorio, magari ad alto valore simbolico, come la Crimea?

Su questo punto il discorso si complica. Prima dell’invasione si parlava quasi esclusivamente di Donbass, la Crimea era menzionata di sfuggita solo in rare occasioni, quasi come se anche a Kiev reputassero impossibile rientrarne in possesso. Poi sono iniziati gli attacchi ucraini alla base della marina russa di Sebastopoli e ai depositi di munizioni.

IL SABOTAGGIO del ponte sullo stretto di Kerch ha chiuso il cerchio: ora la penisola è quasi isolata dal territorio russo e la sua principale difesa restano le navi di stanza nel Mar Nero. Che però non si avvicinano più tanto alla costa dopo l’affondamento della «Moskva». Dopo la conquista di Kherson si pensava che gli ucraini avrebbero iniziato a bersagliare le posizioni nemiche dato che, secondo i calcoli balistici, le distanze sono adeguate.

Invece ieri l’addetto stampa del comando operativo meridionale ucraino, Nataliya Gumenyuk, ha dichiarato che «gli occupanti russi non rinunceranno alla Crimea facilmente, ma è improbabile che ci siano feroci battaglie per la penisola. Per la Crimea ci sarà uno scenario diverso».

Poco dopo il potente consigliere presidenziale di Zelensky, Mykhailo Podolyak, ha sottolineato: «Fino alla metà della guerra, la Crimea è stata individuata come un argomento separato, ora questo problema viene discusso in un unico pacchetto come un territorio che va liberato». Anche il presidente Usa Joe Biden si era espresso paventando l’esistenza di «prospettive» per il ritorno della Crimea sotto la giurisdizione di Kiev.

Il messaggio era talmente chiaro che, da Mosca, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha subito risposto che il ritorno della Crimea all’Ucraina «è impossibile» in quanto la penisola «è una parte integrante della Federazione russa».