Oltre duecento blocchi stradali in tutto il Brasile: copertoni che bruciano, camionisti tagliano le gomme ai propri automezzi per occupare le carreggiate, manifestanti montano tende e portano acqua e cibo agli occupanti delle principali arterie del paese. L’aeroporto internazionale di San Paolo-Guarulhos cancella 25 voli solo nella giornata di lunedì. Martedì poi le proteste si accendono anche dentro le città, un gruppo di manifestanti si ritrova davanti a una sede dell’esercito nella zona sud di San Paolo per chiedere l’intervento delle forze armate.

È IL BRASILE A 48 ORE DALLA FINE delle elezioni presidenziali. Lo sconfitto, il Presidente uscente Jair Bolsonaro scompare dai radar per due giorni, riappare martedì pomeriggio, per un discorso brevissimo, nel quale ringrazia i suoi elettori e riconosce la legittimità delle proteste «contro un processo elettorale ingiusto. Ma non possiamo usare i metodi illegali tipici della sinistra – afferma come le occupazioni e il danneggiamento della proprietà privata». Parla da leader della «destra brasiliana, della liberta economica e religiosa, valori forti nel paese».

La parte più importante del messaggio, è quel che non dice: non riconosce la sconfitta, non chiede ai manifestanti di ritirarsi. E non presenta nessuna prova per criticare la regolarità del voto. «Non lo fa per prudenza, cosi non provoca il Tribunale Elettorale» spiega Oliver Stuenkel, docente di relazioni internazionali presso la Fundação Getulio Vargas.
Dopo due giorni di silenzio, non c’è altro. Bolsonaro fugge alle domande della stampa e dopo di lui, Ciro Nogueira, il Ministro della casa civile, si avvicina ai microfoni per dire che giovedì inizierà il processo di transizione con l’incaricato del nuovo governo, il vicepresidente Geraldo Alckmin.

È forse questa l’mmagine che meglio rappresenta il momento politico brasiliano: il nucleo duro del bolsonarismo, con in testa il proprio Bolsonaro, scommette sul caos. E il bolsonarismo più moderato assicura una transizione normale.

«IL MESSAGGIO DI BOLSONARO è criptico perché si rivolge a due pubblici differenti – afferma Oliver Stuenkel – strizza l’occhio ai radicali che pensano che le elezioni siano state una truffa e allo stesso tempo rassicura i moderati che chiedono una transizione ordinata».

In questo delirio istituzionale, il neo eletto Lula prova a mandare segnali di normalità: si incontra con il presidente argentino Alberto Fernández e assicura la sua presenza alla prossima conferenza per il Clima, la COP27, che si svolgerà in Egitto tra il 6 e il 18 novembre. I leader politici lulisti invitano alla calma, a non diffondere la paura del golpe: «È un atto criminale, non proteste democratiche. Chiediamo alle forze armate di ristabilire l’ordine» dice Marcelo Freixo del Psol.

Intanto, nel paese, la Policia Rodoviaria Federal (Prf), su ordine della Justicia Federal, avvia gli sgomberi dei blocchi stradali. Le operazioni vanno a rilento, anche perché dicono «non sappiamo con chi negoziare, non ci sono leader nelle proteste».

I MANIFESTANTI non denunciano irregolarità delle elezioni, semplicemente non accettano il risultato. È un caos di piccoli fuochi che si accendono disordinatamente in tutto il paese. Funziona cosi il tecnopopulismo brasiliano, si muove in forma carsica nel paese: le informazioni circolano in modo sotterraneo nei gruppi Telegram e WhatsApp – non c’è una convocazione pubblica né una regia visibile – e poi i manifestanti appaiono davanti a una caserma o a un incrocio stradale. Ci sono casi provati di complicità da parte delle forze dell’ordine, «casi puntuali, stiamo investigando» dichiara la Prf.

 

Blocco stradale pro-Bolsonaro fuori da Sao Paulo Ap/Andre Penner
Blocco stradale pro-Bolsonaro alle porte di San Paolo (Ap/Andre Penner)

 

D’altra parte, i deputati bolsonaristi più radicali gettano benzina sul fuoco invitando i manifestanti a non arrendersi, «è la nostra ultima possibilità» scrive la deputata Zambelli, prima che il suo profilo Twitter venga sospeso per violazione dei termini.

MA DENTRO IL MONDO bolsonarista non tutti appoggiano la linea del caos: i deputati legati al settore dell’agronegocio denunciano le perdite economiche dovute ai blocchi stradali: «Il settore della macellazione della carne si è fermato, ci sono camion frigo a pieno carico bloccati sulle strade. Chiediamo la rimozione dei blocchi stradali».

Nello Stato di Minas Gerais, stanno terminando le scorte di combustibili e l’accesso ai punti di rifornimento è bloccato, gli ospedali denunciano la mancanza di rifornimenti medici.

La situazione non è ancora da allarme rosso, anche perché gli spazi di manovra di Jair Bolsonaro sono minimi: è isolato internazionalmente e molti alleati interni gli chiedono di fermarsi. Tuttavia, lui non sembra minimamente intenzionato a farlo.