Bologna la dotta, la rossa, la grassa. Ora, forse, anche Bologna la diseguale. È questo il tema attorno al quale ruota «L’inchiesta sociale sui costi della città» lanciata nel capoluogo emiliano da Cgil e Istituto per le ricerche economiche e sociali (Ires) assieme a Arci, Link, Udu e Piazza Grande. Volantini e sticker col Qr code sono apparsi in giro per la città: aprendolo ci si trova di fronte al lungo questionario, decine di domande su reddito, trasporti, salute, abitare, welfare.

«ABBIAMO RIPRESO una tradizione della classe lavoratrice bolognese degli anni ‘60 e ‘70» spiega Michele Bulgarelli, segretario della Cgil locale. Molti i quesiti sulla casa – tema scottante a Bologna, seconda in Italia per costo degli affitti. Non solo sui costi sostenuti, ma anche difficoltà nel trovare alloggio, disponibilità dei servizi di base nel quartiere, accessibilità per persone diversamente abili. Molto spazio anche per la transizione digitale – questione cruciale per la popolazione anziana, sempre più spesso costretta a rapportarsi alla burocrazia con strumenti elettronici cui non è avvezza. E ovviamente il tema del lavoro, dei redditi, della sindacalizzazione.

«Stiamo assistendo alla trasformazione del nostro territorio, da città del lavoro a città della rendita. È questo che vogliamo indagare» spiega ancora Bulgarelli. Un problema non nuovo e non limitato alla sola Bologna, ma sempre più urgente. Il capoluogo emiliano è attraversato da più crisi aziendali, frutto di quella deindustrializzazione che colpisce tutto il Paese. C’è la Marelli di Crevalcore, su cui in queste settimane si sta trovando un accordo, C’è l’Industria Italiana Autobus, ex-Bredamenarinibus, la cui vertenza è ancora in alto mare. C’è la Perla, storico brand del lusso ogni giorno più vicino alla chiusura. Contemporaneamente, il turismo trasforma il centro storico, sostituendo gli alloggi coi B&B e le attività storiche coi ristoranti. Un processo che nel lungo periodo rischio di espellere i bolognesi dalla città. «È un problema anche per gli studenti fuorisede: i dati dell’Università ci dicono che calano le immatricolazioni degli studenti del meridione e aumentano quelle di stranieri più benestanti» dice il segretario Cgil. «Sulla scuola nutriamo preoccupazioni simili. La paura è che si torni ad una dinamica tale per cui gli operai iscrivono i figli al professionale e le classi agiate al liceo».

L’INCHIESTA NON ARRIVA da sola. Fa parte di una piattaforma politica concordata tra le realtà aderenti, a sua volta parte de La Via Maestra, il percorso di aggregazione lanciato dalla Cgil a livello nazionale. Nel documento si leggono molti dei temi trattati nel questionario. La giusta transizione, che riguarda sopratutto lo storico settore automotive emiliano. La qualificazione del lavoro nel turismo e nel terziario, ambito povero per eccellenza dove nero e bassi salari fanno da padroni. Poi salute, sicurezza sul lavoro, cura. Tra le proposte una riforma progressiva del fisco, con l’Isee da usare come parametro per riformulare le imposte comunali. Torna anche l’idea dell’1% sociale – una percentuale dei profitti delle aziende da usare per il welfare territoriale. Non manca, ovviamente, il salario: da aumentare e adeguare all’inflazione galoppante.

«VOGLIAMO INDAGARE ciò che non si trova nei database già esistenti. Per questo ci serve uscire dalla nostra bolla: se il questionario lo compileranno solo i lavoratori Lamborghini in assemblea sindacale non sarà rappresentativo dell’intera città. Ci servono disoccupati, giovani, precari, migranti». Per i proponenti l’iniziativa serve a raccogliere informazioni, ma anche a mobilitare le persone. «Stiamo ottenendo i primi risultati. Ad esempio la centralità dell’Isee nelle tariffe di scuola, trasporti e rifiuti sta man mano entrando nella contrattazione con le istituzioni. Ma non basta. A chi compila il questionario diciamo: vuoi cambiare le cose? Mobilitati con noi!».

La raccolta delle risposte proseguirà fino a Maggio. Poi la restituzione, in estate ma non solo. Le realtà studentesche, ad esempio, useranno i dati raccolti anche in occasione dell’apertura del prossimo anno accademico.

NEL MENTRE, IL MALCONTENTO a Bologna cresce. Non ci sono solo le grandi vertenze prima elencate a tenere banco. La città metropolitana pullula di piccole storie, ridotte nelle dimensioni ma non meno dolorose per chi le vive. C’è l’Istituto Santa Giuliana, storica scuola elementare chiusa questa estate dalle suore che la possedevano. Per le lavoratrici si è trovato un accordo sulla buonuscita, ma l’attività non si è salvata. Ci sono i dipendenti della Mymenù, azienda di consegne che ha chiuso i battenti lasciando a casa 35 persone. C’è il problema di Tper, il trasporto pubblico locale che avrebbe disperatamente bisogno di autisti ma fatica a trovarli perché il salario offerto è ormai inadeguato al costo della vita a Bologna. Ci sono studenti e lavoratori precari che protestano contro il costo degli affiti. Lo scorso anno le tende diventarono il simbolo di questo malcontento, e tutt’oggi nella centralissima piazza Verdi – luogo universitario per eccellenza – i collettivi montano igloo e canadesi per ricordare che il probema ancora non è risolto. Ci sono, infine, le lotte ambientali: dalle proteste contro l’allargamento dell’autostrada – il cosiddetto passante – ai comitati di quartiere che cercano di bloccare le tante piccole cementificazioni in corso. Questioni non secondarie nella città che pochi mesi fa ha affrontato l’alluvione e che periodicamente si ritrova soffocata dalla cappa dello smog.

INVERTIRE IL TREND non sembra facile. Il rischio di una Bologna diseguale, in cui vive bene solo chi può contare su una rendita finanziaria o immobiliare, è sempre più concreto. Ai sindacati e ai movimenti il difficile compito di cambiare le cose prima che sia troppo tardi.