Bolivia presto al voto senza Morales
Dopo la strage di Senkata Il deputato Henrry Cabrera conferma che il Movimiento al Socialismo parteciperà alle elezioni con altri candidati alla presidenza e che non indicherà nomi per il nuovo organismo elettorale: «Vinceremo con il Tribunale supremo che sceglieranno loro». Ma nelle strade si piangono le vittime della repressione e restano i «blocchi»
Dopo la strage di Senkata Il deputato Henrry Cabrera conferma che il Movimiento al Socialismo parteciperà alle elezioni con altri candidati alla presidenza e che non indicherà nomi per il nuovo organismo elettorale: «Vinceremo con il Tribunale supremo che sceglieranno loro». Ma nelle strade si piangono le vittime della repressione e restano i «blocchi»
La Bolivia andrà presto al voto e lo farà, come previsto, senza Evo Morales né Álvaro García Linera. La conferma è giunta dal deputato Henrry Cabrera, il quale ha dichiarato alla rete televisiva Unitel che il Movimiento al Socialismo parteciperà alle elezioni con altri candidati alla presidenza e alla vicepresidenza e che neppure indicherà nomi per il nuovo Tribunale supremo elettorale: «Vinceremo – ha detto – con il Tribunale supremo che sceglieranno loro».
La Commissione costituzionale del Senato intanto ha già avviato il dibattito sui due progetti di legge presentati rispettivamente dal Mas e dal governo de facto sugli stessi tre punti: l’annullamento delle elezioni del 20 ottobre, la designazione del nuovo Tribunale elettorale e la realizzazione di nuove elezioni nel più breve tempo possibile. Progetti che saranno sintetizzati in un testo unico da sottoporre al Senato e da trasmettere quindi alla Camera dei deputati per il varo definitivo.
UNA SOLLECITAZIONE a convocare «urgentemente» elezioni libere e trasparenti è venuta pure dal Consiglio permanente dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), che, in mezzo alle critiche ricevute per il suo controverso rapporto – smentito da altri esperti – sulle «gravi irregolarità» riscontrate nelle elezioni del 20 ottobre, ha esortato mercoledì tutte le forze politiche e sociali, come pure militari e polizia, a porre immediatamente fine alla violenza, a garantire il pieno rispetto dei diritti umani e a promuovere la riconciliazione del paese. Fuori dalle aule parlamentari, tuttavia, la riconciliazione appare ancora lontana. Le proteste contro il golpe non accennano a diminuire, con blocchi stradali su almeno sedici autostrade del paese e la minaccia di chiudere anche l’accesso all’aeroporto internazionale.
E IN RISPOSTA ALLA STRAGE a Senkata, dove il bilancio dei morti è salito a nove, i dirigenti contadini delle venti province di La Paz e una delle sezioni della Federación de Juntas Vecinales hanno anzi annunciato la radicalizzazione delle misure di protesta.
Nel tentativo di superare il conflitto, il ministro della Presidenza Jerjes Justiniano ha offerto la disponibilità del governo a derogare il famigerato decreto che ha autorizzato l’uso di armi da fuoco durante le proteste e liberato da ogni responsabilità penale il personale delle forze armate impegnato a ristabilire l’ordine, chiedendo in cambio ai manifestanti di rimuovere il blocco intorno all’impianto di stoccaggio di carburante della compagnia statale Ypfb a Senkata.
Ma se da una parte il governo de facto cerca di abbassare la tensione con i manifestanti, dall’altra non intende affatto rinunciare alla persecuzione degli alti dirigenti del Mas. A cominciare dallo stesso Evo Morales, contro cui il deputato Rafael Quispe del partito di destra Unidad Demócrata ha presentato una denuncia, già dichiarata ammissibile dalla Procura boliviana, per una lunga serie di reati che vanno dalla sollevazione armata al terrorismo.
ANCORA PIÙ AVANTI SI È SPINTO il ministro dell’Interno Arturo Murillo che, dopo aver rivelato l’audio di una telefonata in cui una persona identificata come Morales, parlando con il dirigente cocalero Faustino Yucra, incita a «dare battaglia dura ai fascisti e razzisti» e a realizzare blocchi stradali per fare in modo che «nelle città non entri cibo», ha annunciato che presenterà contro di lui una denuncia alla Corte dell’Aja per crimini di lesa umanità. E a stracciarsi le vesti è stato subito il candidato presidenziale Carlos Mesa, che ha accusato il «presunto pacificatore» di voler «insaguinare il suo stesso paese».
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