Laura Boldrini, ex presidente della Camera e deputata Pd. Che giudizio dà dell’escalation militare in Ucraina?

La situazione è drammatica, a partire dalle condizioni della popolazione ucraina. Tutti gli indicatori segnalano una allerta mondiale, penso alle parole del premier britannico Johnson, alla risposta russa. C’è il serio rischio che la situazione sfugga di mano. Non mi pare che si stia facendo tutto il possibile per fermare la guerra, e ripeto che la strada non è l’invio di altre armi: la diplomazia è una strada difficile ma è l’unica possibile.

La missione del segretario Onu Guterres può essere una strada?

Mi pare che il suo tentativo non abbia sortito gli effetti sperati con Putin. La stessa idea di considerare come base di partenza dei negoziati l’annessione di Crimea e Donbass è irrealistica: eppure questo esercizio diplomatico non deve fermarsi. E l’Europa deve fare sentire la sua voce: finora è stata unita solo nell’invio di armi e nelle sanzioni. Spero che prenda forma una prossima visita a Kiev, di Draghi, Macron e Scholz insieme, che metta l’Ue al centro della trattativa.

In Italia è pronto un nuovo decreto per l’invio di armi. Serve un nuovo voto del Parlamento?

Nel decreto approvato a febbraio è prevista la possibilità di inviare armi fino alla fine dell’anno. I dettagli della fornitura militare previsti nei decreti interministeriali passano dal Copasir, ma sono secretati. È però previsto, nello stesso decreto, che ogni tre mesi il Parlamento sia informato dal governo sull’evoluzione della situazione.

Se si inviano armi di natura offensiva e non difensiva è necessario che il Parlamento si esprima?

Mi pare una distinzione abbastanza relativa. Un’arma per sua natura può essere utilizzata per difendersi o per attaccare.

Il M5S pensa a una mozione contro l’invio di armi pesanti.

A marzo su questo punto mi sono astenuta proprio perché ritengo che il conflitto non si risolve inviando armi, ma accelerando i negoziati. Sinceramente non credo che una mozione possa consentirci di fare marcia indietro sulla decisione già presa che dà copertura alle scelte del governo fino a fine anno. La strada per me più opportuna sarebbe lo stop europeo all’importazione di gas russo, così smetteremmo di finanziare la guerra di Putin.

Dopo il no della Germania pare una strada impercorribile.

Certamente più complessa. Oltre a questo si può fare un lavoro politico, spingendo grandi Paesi come Cina, Pakistan, Brasile, Argentina, Sud Africa a isolare Putin, anche mettendo in atto le sanzioni. L’Ue giochi la sua forza economica per coinvolgere questi e altri paesi offrendo loro dei vantaggi di tipo economico e commerciale.

La linea del Pd rappresenta le opinioni del suo elettorato?

C’è una significativa fetta di elettori che ha molti dubbi sull’invio di armi, che non si ritrova in questa scelta: io mi sento in sintonia con loro. È normale che in un grande partito ci siano sensibilità diverse su come raggiungere l’obiettivo, che è comune, di fermare la guerra. La mia precedente esperienza professionale in situazioni di conflitto mi dice che il rifornimento di armi allontana la pace.

Si sente isolata?

Tra i colleghi avverto molta preoccupazione, in particolare quando capi di Stato occidentali usano toni aggressivi: Putin merita questi attacchi, ma se si vuole una tregua bisogna misurare i toni.

Il sì alla guerra divide la sinistra. Sono ferite rimarginabili?

Finora nel centrosinistra c’è stato un dibattito civile, in cui ognuno capisce le ragioni dell’altro. Una discussione che in fondo rappresenta i tormenti dei nostri elettori. Intollerabili invece sono gli attacchi rivolti all’Anpi, l’accusa di essere amici di Putin.

Ritiene che il premier Draghi abbia una posizione troppo schiacciati sugli Usa?

La sua posizione è molto vicina a quella americana, ma non mi pare distante da quella altri leader Ue.

Manca una autonomia della politica estera italiana?

Il mio timore è che si perdano decenni di lavoro sulla distensione e sul disarmo. Il rischio è che Putin modifichi il dna dell’Europa che è ispirato alla pace. L’Ue non nasce come una superpotenza militare, ma come un’entità nata per risolvere i conflitti in modo pacifico.

Eppure crescono le spese militari.

Il riarmo dei singoli Stati è un errore, allontana l’obiettivo di una difesa e di una politica estera comuni. La guerra è il terreno scelto da Putin, lui sta tentando di trascinarci là dove gli è più congeniale. Non possiamo cadere nella trappola.

L’occidente non ascolta le parole di pace del papa?

Se fosse più ascoltato, da tutti, saremmo più vicini a una soluzione del conflitto. Dal papa vengono sempre parole di pace, a differenza del patriarca Kirill che ha benedetto la guerra, invocando la crociata contro l’Occidente e la comunità LGBT+.