Boldrini: «Missioni nella Libia in guerra? Una scelta criminale»
Intervista all'ex presidente della camera La deputata di Leu: dalla ministra Trenta neanche un cenno al conflitto in corso. In aula l'ineffabile titolare della difesa sembrava un notaio, non una parola di merito né di cordoglio per i migranti morti nel bombardamento di cui avevamo appena avuto notizia. Uno scandalo
Intervista all'ex presidente della camera La deputata di Leu: dalla ministra Trenta neanche un cenno al conflitto in corso. In aula l'ineffabile titolare della difesa sembrava un notaio, non una parola di merito né di cordoglio per i migranti morti nel bombardamento di cui avevamo appena avuto notizia. Uno scandalo
«Mercoledì alla camera, durante il voto sul rinnovo delle missioni militari, è successa una cosa incomprensibile, inaudita. La ministra della Difesa Trenta ha elencato le missioni senza alcuna valutazione di merito su ciascuna, e sui diversi paesi. Così ha fatto sulla missione in Libia. Ne ha chiesto il rifinanziamento senza neanche menzionare il conflitto in corso». Per l’ex presidente della camera Laura Boldrini il comportamento del governo e della maggioranza sulle missioni libiche è senza mezzi termini «uno scandalo». «L’ineffabile ministra – spiega – non ha speso una parola né di merito, per le sue competenze, né di cordoglio per i cento migranti morti per il bombardamento di cui avevamo appena avuto notizia».
Nonostante la guerra, per il governo quello era un provvedimento ordinario?
È inconcepibile rifinanziare la guardia costiera libica che riporta i migranti nei centri di detenzione, quando le sue collusioni con trafficanti sono state svelate da inchieste giornalistiche e rapporti ufficiali. È un atto criminale.
«Criminale» non è una parola troppo forte?
Quando si chiede a un parlamento di finanziare una missione che prevede di riportare i migranti indietro, in un paese dove c’è la guerra civile, non si può avere un atteggiamento notarile. Tanto più che la maggioranza ha votato missioni che in passato aveva contestato con veemenza. Quando erano all’opposizione, i 5 stelle si scagliavano contro la presenza militare italiana in Afghanistan. Adesso non hanno neanche preso atto che in Afghanistan gli Usa stanno facendo l’accordo con i talebani. Dall’opposizione si scagliavano contro a prescindere, ora al governo accettano tutto a prescindere.
Tanto più che qualche giorno prima il ministro degli Esteri Moavero aveva ammesso che la Libia non è un porto sicuro. E ora Conte parla di «crisi umanitaria».
Infatti questa scelta è stata anche illogica. Dicono che la Libia non è un porto sicuro però finanziano la guardia costiera libica. È una violazione del diritto internazionale.
Il parlamento ha votato un atto che viola il diritto internazionale?
La maggioranza si è assunta questa responsabilità.
Il primo accordo con la Libia di Serraj nasce con il governo Gentiloni e con il ministro Minniti. Ora il Pd ha cambiato linea?
Il Pd ha preso giustamente atto che le condizioni sono cambiate. Ora in Libia c’è la guerra, e la Guardia costiera libica, senza il coordinamento italiano, non può essere in grado di fare soccorso, fra l’altro non ne ha i mezzi. Ho sempre ritenuto che quell’accordo non si dovesse fare. Ma adesso men che meno. Il Pd ha dimostrato maturità e senso della realtà.
Nel novembre ’18 Conte ha organizzato una conferenza sulla Libia. È finita con annunci roboanti. In realtà oggi l’Italia stenta a ritrovare un ruolo nel Mediterraneo.
Questo governo ha spostato la sua attenzione dal Mediterraneo, dove ci era riconosciuta un’influenza specifica che ci portava vantaggi anche commerciali, ai paesi del gruppo di Visegrád. Oggi l’Italia ha perso il suo peso e non è un attore protagonista nella gestione della crisi libica. La conferenza di Palermo è stata spacciata come una grande iniziativa: in verità non ha prodotto nulla. Il governo non ha neanche capito come si stava muovendo il generale Haftar.
Intanto Salvini si fa propaganda sugli sbarchi gestiti dalle Ong.
L’incapacità di Salvini di gestire il fenomeno migratorio, il suo sadismo, ha costretto poche decine di persone a attendere la sua decisione per 17 giorni. Nel caso della Sea Watch 3 c’erano già delle soluzioni prima della decisione della comandante Rackete di attraccare: dalla Germania molti sindaci erano disponibili a accogliere i naufraghi. Ma Salvini le ha ignorate e ha voluto creare un caso politico. Per farsi propaganda.
La disponibilità di alcuni paesi europei c’è stata, ma si è espressa solo dopo che Salvini ha creato «l’emergenza». L’Europa lenta è in concorso di colpa con Salvini?
La strategia di Salvini non è cercare soluzioni ma esattamente l’opposto: creare false emergenze per sviare l’attenzione dai veri problemi del paese. I giorni della Sea Watch erano quelli della possibile procedura di infrazione dell’Unione europea contro l’Italia. Cos’è successo? Che l’Ue ci ha bacchettato e noi siamo rientrati nei ranghi, con una manovra economica mascherata. Salvini voleva distrarci esattamente da questo. Voglio aggiungere che in parlamento si è consumato un altro strappo grave. La presidente della commissione giustizia della camera Businarolo (M5S, ndr) all’ultimo momento ha revocato la convocazione in commissione di Sea Watch, già deliberata dall’ufficio di presidenza. Attenzione, non era stata chiamata la comandante Carola, ma l’Ong che ha fatto i salvataggi in mare dopo l’entrata in vigore del decreto sicurezza bis e che quindi poteva offrire alla commissione spunti di riflessione sulle conseguenze del decreto. Una cosa mai successa, in commissione si ascoltano tutti. Ma la Lega voleva impedire che Sea Watch esponesse al parlamento la sua versione dei fatti.
Sui migranti il centrosinistra è costretto a seguire, persino assecondare, la propaganda di Salvini. Non avete altra possibilità?
Le forze della sinistra debbono dimostrare che c’è un’altra strada per governare l’immigrazione. Quella di Salvini è sbagliata, illegale e non è neanche efficace. Ha voluto distruggere quel poco di integrazione che c’era e anche la possibile solidarietà fra gli stati europei. Noi invece dobbiamo declinare sicurezza, libertà e garanzie previste dalla Costituzione. Penso al modello del Canada, dove sono stata di recente. Un modello opposto alla chiusura, alla demonizzazione, al razzismo e all’idea del nemico. Nell’ottica di una convivenza civile, di un’integrazione fatta di diritti e doveri.
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