«La prossima a cadere sarà Miawaddy!» È sicuro il giovane karen, che incontriamo lungo la frontiera thai-birmana. Siamo poco più a nord di Mae Sot, la città siamese che, separata dal fiume Moei, confina con Miawaddy, 170 chilometri a est di Mawlamyine, quarto centro birmano affacciato sul Mar delle Andamane. La sua convinzione non è peregrina dopo che sabato scorso le milizie del Karen National Liberation Army hanno preso d’assalto Thingannyinaung, 10 chilometri a Ovest di Miawaddy. La propaganda karen è baldanzosa, anche se la battaglia non sembra affatto conclusa, come testimoniano i bombardamenti che si sentivano ancora ieri oltreconfine.

IL KNLA dice di aver praticamente sgominato il battaglione di fanteria 355 a Thingannyinaung e di aver preso un posto di polizia nel distretto. Adesso sarebbe alle prese con quel che resta del 356 e col 357, dove i soldati governativi si sarebbero raggruppati per difendere la posizione. Posizione non secondaria: Thingannyinaung si trova sulla direttrice autostradale che collega la Thailandia, attraverso Miawaddy, al porto di Mawlamyine (Moulmein) e dunque su uno snodo centrale sia per il commercio sia per il rifornimento di truppe. «Miawaddy è isolata, può essere raggiunta solo via elicottero con pochi soldati alla volta», aggiunge il giovane karen – nato in una famiglia di profughi birmani che ormai vive in Thailandia – che non nasconde le sue simpatie per la resistenza armata della Karen National Union di cui il Knla è il braccio armato. La situazione si è fatta ancora più complessa da quando le Brigate di frontiera (Bgf) – milizie karen alleate alla giunta che aveva affidato loro la sicurezza delle aree di confine – hanno rotto il patto con Tatmadaw (l’esercito golpista birmano) e sono tornate ad allearsi con il Knu. «In segreto», dice la fonte, anche se nessuno è convinto della durata di queste alleanze a geometria variabile.

La presa di Miawaddy sarebbe un colpo ferale per i golpisti di Naypyidaw: in difficoltà al confine cinese, dove la frontiera è chiusa e il commercio bloccato dall’offensiva di tre eserciti “etnici”, come sul fronte Ovest, dove l’offensiva nell’Arakan danneggia i transiti con l’India. Ora, la chiusura della frontiera con Mae Sot – dove già file di camion stazionano alla dogana – sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso. Non solo dal punto di vista militare ma anche da quello delle relazione economiche con i cinesi, che vedrebbero chiusa l’ultima porta aperta verso il Mar della Andamane.

LE VICENDE BIRMANE hanno anche un’appendice italiana. L’organizzazione per i diritti umani Justice For Myanmar infatti ha scritto al nostro Ministero degli Esteri, dell’Economia e alla Guardia di Finanza per denunciare il caso di Htoo Htwe Tay Za, alias Rachel Tayza. Nella missiva, che ilmanifesto ha potuto visionare, lo studio legale francese Bourdon & Associés di Parigi chiede all’Italia di «indagare al fine di individuare i beni e le risorse economiche possedute» dalla donna, di «congelare» quelli da lei detenuti nel nostro Paese e soprattutto di «espellere Rachel Tayza dal territorio italiano». Il tutto sulla base delle sanzioni dell’Unione europea nei confronti della giunta militare birmana al potere.

Il padre di Rachel, Tay Za, «è il fondatore e presidente del gruppo di società Htoo Group of Companies», sottoposto a sanzioni sia da parte dell’Ue, sia degli Usa, trattandosi di «un importante socio in affari dell’esercito birmano». Il conglomerato di imprese di questa famiglia, con «partecipazioni in oltre 60 aziende in Myanmar e Singapore» in decine di settori, ha «contribuito alle capacità dei militari di commettere gravi violazioni dei diritti umani, di reprimere la popolazione e di svolgere attività che compromettono la democrazia e lo stato di diritto in Myanmar».

LA STESSA Rachel Tayza «sia come direttrice, sia come azionista (…) è coinvolta in diverse entità societarie del gruppo Htoo costituite dopo il colpo di stato militare nel 2021, mentre lei già viveva in Italia». Dove sarebbe arrivata con un visto per motivi sanitari. Stando ai social media e al blog di moda italiano Colory, «Rachel vive attualmente a Milano». Sul suo profilo Linkedin si legge che «nel 2022 ha conseguito una laurea a Polimoda», la scuola privata di Firenze, tra i primi dieci istituti di moda al mondo. Portando poi una sua collezione a Pitti Uomo e partecipando nel 2023 anche alla settimana della moda di Milano. Il problema, per gli avvocati di Justice For Myanmar, è che «gli studi e il costo della vita di Rachel Tayza in Italia sono stati sostenuti da fondi del gruppo Htoo attraverso trasferimenti sul suo conto all’italiana Banca Nazionale del Lavoro Spa, filiale della francese Bnp Paribas». Beni e risorse economiche sporche di sangue birmano.

CON UNA SECONDA missiva inviata all’istituto bancario in questione, la Bourdon & Associés chiede quindi di segnalare alle autorità competenti i beni di Rachel Tayza per il loro congelamento, in base alle sanzioni europee contro «persone fisiche e giuridiche, entità o organismi le cui politiche, azioni o attività compromettono la democrazia o lo stato di diritto in Myanmar/Birmania». Ma anche in base al decreto legislativo italiano 109/2007, che fornisce il quadro per l’attuazione delle sanzioni finanziarie dell’Onu e dell’Ue contro il finanziamento del terrorismo e delle attività che minacciano la pace e la sicurezza internazionale.