Visioni

Biennale di Venezia, omaggio alle «Muse inquiete»

Biennale di Venezia, omaggio alle «Muse inquiete»1968, contestazioni al Festival del cinema con Pasolini – Foto di Giacomelli

Mostre Con la collaborazione dell'archivio storico Asac e di tutti i direttori dei sei settori creativi, il 29 agosto aprirà una rassegna per indagare il complesso rapporto tra arte e politica, invenzione e crisi

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 16 luglio 2020

L’emergenza Covid19 cancella la Mostra dell’architettura e in quel desolato 29 agosto rimasto con i padiglioni vuoti si fa spazio un immaginario lungo 125 anni: quello che accompagna le vicende stesse della Biennale di Venezia, declinate in ogni sua disciplina. Si va dagli anni del fascismo, con le visite dei gerarchi nazisti, ai musicisti «degenerati» come Stravinskij e Bartók, alle contestazioni del ’68 o il controfestival in Campo santa Margherita nel 1972, fino alle trasformazioni dello sciamano Harald Szeeman. Si torna così al «laboratorio permanente» che mette in dialogo tutte le arti, come ha dichiarato il presidente Roberto Cicutto.

Alla fine, l’occasione perduta e il necessario rinvio delle attività hanno sprigionato un omaggio alle Muse inquiete. È questo, infatti, il titolo della rassegna che si aprirà al Padiglione Centrale dei Giardini realizzata con i materiali dell’archivio storico dell’istituzione (Asac), che si risvegliano uno accanto all’altro, e grazie a una inedita collaborazione dei direttori dei sei diversi settori: Cecilia Alemani per le arti visive (che coordina anche l’allestimento curato da Formafantasma), Alberto Barbera per il cinema, Marie Chouinard per la danza, Ivan Fedele per la musica, Antonio Latella per il teatro, Hashim Sarkis per l’architettura.

Le Macchine Celibi, 1975

Fino all’8 dicembre, la Biennale si racconterà attraverso i suoi documenti, riavvolgendo il nastro della complessa relazione tra politica e cultura, tra libera creazione e nuovi ordini mondiali, crisi etiche e catastrofi ambientali. Luogo di grandi invenzioni e anche palcoscenico di diplomazia internazionale, la «meta-mostra» registrerà le metamorfosi del gusto e dei costumi con installazioni artistiche, rari filmati, pièce teatrali (lo scardinamento delle convenzioni sceniche con Max Reinhardt, Carmelo Bene, Brecht e Ronconi, secondo il fil rouge ricordato da Latella), apparizioni di corpi indimenticabili come quello di Merce Cunningham. Le Muse inquiete cercheranno di testimoniare la tenace autonomia di una rete di linguaggi, costruiti da coreografi, artisti, registi, compositori, nonostante le «frenate» dovute a scandali, fratture istituzionali, irruzioni drammatiche della cronaca. Alemani parla di «sentieri incrociati con la storia del Novecento», mentre Barbera rileva la funzione prismatica del cinema, «occhio impertubabile e testimone affidabile». E, dice Sarkis, l’architettura alla Biennale (che tornerà nel 2021, l’arte invece nel 2022) ha imparato a giocare, «a essere contemporaneamente struttura, contenuto, rappresentazione e esperienza».

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