Biennale all black
Cultura

Biennale all black

All'interno del padiglione della Gran Bretagna – Matilde Cenci

i leoni d'oro La giuria della 59/a Biennale internazionale d’Arte lascia vuote le fabbriche di Gian Maria Tosatti del padiglione Italia, senza leoni a ruggire nelle sale dismesse e opta per un’idea di comunità diversa (sempre però da paesi anglosassoni, quindi di cultura dominante). Non il declino industriale dell’occidente, ma le affinità elettive con chi ha lavorato per una idea di comunità (facendolo però in paesi anglosassoni, culture comunque dominanti)

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 24 aprile 2022

Le fabbriche vuote, quei fantasmi dell’assenza, fra notti, comete e lucciole pasoliniane di Gian Maria Tosatti del Padiglione Italia rimangono anche a mani vuote. Nessun Leone ruggisce fra quelle stanze disabitate, scenografia post apocalittica di un mondo in disuso. La giuria – costituita da Adrienne Edwards (Usa), Lorenzo Giusti (Italia), Julieta Gonzalez (Messico), Bonaventure Son Bejeng Ndikung (Camerun), Susanne Pfeffer (Germania) ha preferito guardare altrove e – nonostante quel padiglione fosse una specie di enorme e ben costruito disclaimer, come piace tanto in America, con tentacolari agganci al tono profetico e al politicamente corretto – ha scelto voci, corpi, visioni in black. Non il declino industriale dell’occidente, ma le affinità elettive con chi ha lavorato per una idea di comunità (facendolo però in paesi anglosassoni, culture comunque dominanti). Ecco allora il Leone d’oro al padiglione della Gran Bretagna, affidato alle sonorità improvvisate di alcune musiciste scelte dall’artista di origini afrocaraibiche Sonia Boyce. Curata da Emma Ridgway, la mostra vincitrice è un ambiente immersivo che ricorda le discoteche anni 80 – carte da parati geometriche optical, superfici riflettenti – su cui spiccano le voci di cinque musiciste nere britanniche (Ajudha, Dankworth, Tikaram, Jernberg, Wallen) lasciate a improvvisare insieme negli Abbey Road Studios. Prima artista black ad essere invitata a rappresentare il proprio paese dal British Council, Boyce – figura perno del Black Arts Movement – ha portato in Laguna il suo progetto (ancora in corso) Devotional, dedicato a musiciste nere britanniche e al loro contribuito alla storia della musica.

Usa, Simone Leigh
Usa, Simone Leigh

Fra i premi, molte sono le “prime volte” a interpretare uno sguardo nuovo (ci sono anche gli occhi puntati del mercato) forse post pandemico, forse soltanto dovuto dopo imperialismi (tuttora in espansione) e mire coloniali (sempre vivissime). Così l’afroamericana Simone Leigh  – esordio “nero” per gli Stati Uniti – diventa “gold” con le sue grandi madri africane i cui corpi ricompongono gli spazi come fossero gigantesche architetture (tipologia Madonna del parto di Piero della Francesca). D’altronde a lei Cecilia Alemani si era “rivolta” per aprire la passeggiata magica del Latte dei sogni  e anche per chiuderladopo che nel 2020 la aveva incoronata fra le artiste più influenti del momento (peraltro Brick House  – 16 metri di scultura che rappresenta una donna nera – campeggia sull’High Line di New York dal 2019).

Radiance, padiglione Uganda. Acaye Kerunen e Collin Sekajugo
Radiance, padiglione Uganda. Acaye Kerunen e Collin Sekajugo

E poi c’è l’Uganda, new entry fra i padiglioni nazionali quest’anno: porta a casa una menzione con il suo Radiance (fuori percorso canonico, a Palazzo Palumbo Fossati) che vede Acaye Kerunen e i suoi lavori con artigiane locali in rivisitazione politica e concettuale di forme tradizionali, miti e leggende della propria cultura, in tandem con Collin Sekajugo (è maschio però) che rovescia le icone popolari con irriverenza nella ritrattistica corrente.

Meritava senz’altro il Leone d’oro invece la Francia “algerina” di Zineb Sedira che invece si deve accontentare del riconoscimento della giuria con la menzione speciale.  I sogni non hanno titoli  è un progetto complesso realizzato a scatola cinese in una serie di giochi di specchi che mettono al centro soprattutto il suo grande amore – il cinema – ma anche l’infanzia, accompagnata da immaginari emarginati, archivi della memoria e una grande capacità teatrale di far rivivere nell’attualità quel groviglio di fili che confluiscono in una visione di potente coerenza e fascino.

All'interno del padiglione Francia, il progetto di Zineb Sedira
All’interno del padiglione Francia, il progetto di Zineb Sedira “I sogni non hanno titoli” foto di Matilde Cenci

Infine, il Leone d’argento per artisti emergenti è andato a Ali Cherri. Libanese, classe 1976, vive in Francia e con la sua arte esplora gli sfasamenti temporali fra mondo del passato, anche archeologico e risonanze con la contemporaneità.

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