Con oltre seimila morti nei primi due mesi del 2023, l’anno americano da poco iniziato avrà probabilmente al suo termine un bilancio superiore a tutti gli anni precedenti. I mass shooting, le stragi, sono state 84. 36 i bambini uccisi in sparatorie. 227 i giovani sotto i 17 anni. E non si contano i feriti, diversi dei quali gravi e destinati a morire. Se poi si entra più nei dettagli, il quadro è semplicemente agghiacciante, contrassegnato da una diffusione spaventosa degli omicidi per arma da fuoco che interessa ormai tutti gli stati, anche quelli con norme più restrittive. La questione è apparsa di nuovo in tutta la sua gravità proprio nei giorni della visita del presidente Joe Biden a Kiev e a Varsavia, con tre mass shooting in Colorado, Alabama e Florida. Nei giorni immediatamente precedenti alla missione europea altri sette.

Non si vuole stigmatizzare un fin troppo evidente stridore tra il messaggio che il presidente statunitense ha inteso lanciare con la sua stessa presenza a Kiev, dello sceriffo integerrimo che interviene contro il bullo pistolero, a protezione della sua vittima, e la sua evidente impotenza nei confronti delle centinaia di migliaia di pistoleri che s’aggirano nell’odierno Far West americano, mica con una semplice Colt o una Beretta ma molto spesso con fucili mitragliatori e altre armi da guerra (si contano negli Usa 120,5 armi da fuoco ogni cento abitanti).

Il contrasto tra i due “film” è politico. Mette ancora più in mostra la montagna di problemi domestici (quello delle armi da fuoco senza controllo è in cima, il più evidente) che il 46mo presidente degli Stati uniti deve scalare per provare a condurre la società americana su un piano di almeno relativa normalità, a partire proprio dal tema della sicurezza personale, talvolta perfino esistenziale, dei cittadini, minacciata, come si è detto, dalle armi da fuoco, ma anche da una condizione della sanità che la pandemia di Covid ha messo in evidenza nella sua grave inadeguatezza, con Big Pharma che la fa da padrona e che ultimamente è sott’accusa per la vera e propria epidemia provocata dalla diffusione scriteriata di farmaci oppiacei. La lista può continuare ma va anche detto che l’amministrazione Biden, fin dal suo insediamento, si è impegnata, con stanziamenti pubblici molto rilevanti, senza precedenti, nel fronteggiare le emergenze economiche e sociali attuali, ha rimesso al centro il nodo della sanità per tutti e ha rilanciato il ruolo dello stato nella ricostruzione delle infrastrutture letteralmente arrugginite, cercando, in tutto questo, di riparare ai danni provocati dal suo predecessore.

In questo quadro va detto che l’intervento massiccio al fianco di Kiev non nasce come un’operazione di distrazione di massa di fronte alle sfide domestiche che Biden si trova ad affrontare, e in un contesto di estrema polarizzazione dell’America, non lontana dal rischio di una guerra civile. Tutti i sondaggi hanno sempre messo in evidenza un complessivo disinteresse verso il lontano conflitto europeo, confermato da una sua presenza sporadica e marginale sui media americani. Nulla a che vedere con l’interesse e con il dibattito politico nei paesi europei. Biden, in realtà, ha «usato» poco, a livello propagandistico interno, il sostegno crescente a Kiev, anche perché l’Ucraina è il luogo di un attivismo mai ben chiarito della famiglia Biden, a livello di affari, economici e d’altro tipo, e non era conveniente stuzzicare l’attenzione sul dossier ucraino da parte dei media e soprattutto dei repubblicani e di Trump.

Ma ora che a un anno dalla guerra il bilancio è assai magro in rapporto al mastodontico investimento in armi e in aiuti da parte americana all’Ucraina (75 miliardi di dollari dall’inizio del conflitto), il presidente cambia decisamente passo. La continuazione della guerra e la possibilità di un esito sfavorevole all’Ucraina e a chi l’ha sostenuta, gli Usa in primis, aumentano la probabilità che un tema tutto sommato lasciato ai margini dai media e della politica assuma rilievo e diventi un’«arma» contro Biden proprio mentre entra nella campagna elettorale del 2024. Il pantano ucraino che si sta prospettando non è più solo la guerra senza fine che danneggia gli europei, ma è una prospettiva che, nelle dovute evidenti differenze, finisce per somigliare alla disastrosa avventura afghana, che non è mai stata veramente al centro dell’attenzione mediatica in America, ma che, con l’inevitabile e clamorosa fuga da Kabul, è diventata brutalmente centrale, con enorme danno politico per Biden.

La personalizzazione del conflitto con Putin è parte della svolta segnata dalla visita a Kiev e ovviamente alza la posta dello scontro, che diventa la narrazione di una sfida tra due condottieri, il che riduce ulteriormente i margini di una soluzione negoziata e mette ancor di più gli europei all’angolo, spettatori di fatti compiuti, di passi decisi unilateralmente a Washington, perché dettati dalle priorità personali di un commander-in-chief ormai nelle vesti del candidato presidenziale in una corsa estremamente difficile.