Biden ricambia idea sui missili. E Orbán sulle sanzioni Ue
Il limite ignoto Dagli Usa e dalla Germania le armi chieste da Zelensky. Nuovo veto ungherese sulle misure europee contro Mosca: «Via Kirill dalla lista nera». Guerra del grano, accuse incrociate e seri dubbi dell’Onu sui tempi di riapertura dei porti ucraini
Il limite ignoto Dagli Usa e dalla Germania le armi chieste da Zelensky. Nuovo veto ungherese sulle misure europee contro Mosca: «Via Kirill dalla lista nera». Guerra del grano, accuse incrociate e seri dubbi dell’Onu sui tempi di riapertura dei porti ucraini
Il contro-contrordine è stato ufficializzato ieri dal presidente Joe Biden: gli Usa forniranno all’Ucraina non già il sistema a lunga gittata Mlrs (Multiple Launch Rocket System) annunciato e disannunciato nell’arco di poche ore, ma quello a media gittata (e ad alta precisione) Himars (High Mobility Artillery Rocket System). Che poi è quanto Zelensky chiedeva a gran voce fin dall’inizio: unità mobili capaci di sparare simultaneamente 6 razzi a guida Gps, che hanno bisogno di minima “manovalanza” e appena un minuto per la “ricarica”.
Secondo gli esperti non c’è paragone con quanto è nella disponibilità degli ucraini al momento. Per questo si tratta di «un aiuto tempestivo e fondamentale all’esercito ucraino» ha detto Biden, illustrando il nuovo pacchetto di aiuti militari reso possibile dal «finanziamento aggiuntivo per l’Ucraina» approvato dal Congresso». «Benzina sul fuoco», ha commentato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, evocando poi con una perifrasi il concetto di guerra americana per procura: «La loro linea resta quella di combattere la Russia fino all’ultimo ucraino».
E LA GERMANIA? Il nuovo corso senza oscillazioni prende ulteriore slancio con l’invio anche qui di armi più moderne e potenti annunciato ieri dal cancelliere Olaf Scholz, anche qui esaudendo il desiderio di Kiev (e dell’opposizione tedesca). In particolare Berlino fornirà il sistema missilistico Iris-T in chiave contraerea. Nonché un sistema radar che dovrebbe aiutare gli ucraini a localizzare le postazioni dell’artiglieria russa, vero flagello del momento per le città assediate del Donbass.
Non è un caso che un passaggio del discorso tenuto al Bundestag dalla ministra degli Esteri Annalena Baerbock ieri abbia insistito sul fatto che «città per città, villaggio per villaggio, i russi stanno distruggendo tutto tenendosi a distanza di sicurezza». Poi la pesante accusa rivolta a Mosca, che con l’offensiva di questi giorni mirerebbe a «spopolare i territori» e a «estinguere la civiltà».
DI INCIVILE e disumano prosegue anche la “guerra del grano”, con la catastrofe che s’annuncia in vaste aree del sud del mondo per il blocco delle esportazioni ucraine e russe. Il segretario generale dell’Onu Antonio Gutierres ha seri dubbi sulla possibilità che i porti vengano sbloccati rapidamente. Sulle trattative in corso pensa che ci siano stati dei progressi «ma ancora non ci siamo, ci sono aspetti complessi, tutti interconnessi tra loro, che ostacolano il negoziato».
Quali siano queste complicanze lo racconta il punto di vista del Cremlino, ribadito sempre da Peskov: la crisi alimentare è tutta colpa delle sanzioni occidentali – che colpiscono anche le esportazioni russe di cereali e fertilizzanti – e delle mine ucraine che infestano le acque. Su questo Mosca ha annunciato anche la disponibilità della Turchia – sempre più multiservizi – a sminare le rotte da e verso i porti ucraini.
MA L’ONU NON È SOLA nel pensare che anche questa del grano sarà una guerra lunga. La Polonia infatti si propone come una sorta di hub per trasferire, stoccare e finalmente distribuire i prodotti agricoli ucraini altrimenti bloccati. Lo ha confermato ieri visitando Borodianka il premier polacco Mateusz Morawiecki.
Resta infiammato anche il fronte “energetico”, soprattutto dopo la retromarcia dell’Ungheria (parziale o totale si vedrà) sul sesto pacchetto di sanzioni approvato con tanta fatica dall’Ue, e con tanto di “eccezione” riconosciuta a Budapest. Motivo, la presenza del patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill nella lista nera dei sanzionati. Gli ambasciatori dei 27 Stati membri si sono arresi all’evidenza, dovranno riconvocarsi. E le nuove sanzioni nel migliore dei casi slittano.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI RUSSO Serguej Lavrov si trova intanto in Arabia saudita per resettare le relazioni con i paesi del Golfo. Ha partecipato alla riunione “esteri” dei Paesi riuniti nel Consiglio di cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati, Kuwait, Oman e Qatar). E si è detto certo, dopo una serie di incontri bilaterali, che questi non si uniranno al fronte occidentale delle sanzioni anti-russe. Ma il Wall Street Journal rivela che alcuni membri non meglio specificati dell’Opec, preoccupati dall’impatto delle sanzioni sulla capacità russa di pompare abbastanza petrolio per stabilizzare i prezzi, vorrebbero sospendere Mosca dai futuri accordi sulla produzione di greggio.
Lavrov ha poi risposto a domanda sul nuovo pacchetto di armi annunciato da Washington, dicendosi preoccupato che ciò finisca per coinvolgere nel conflitto «Paesi terzi».
Coinvolge le Nazioni unite invece il licenziamento deciso dal parlamento ucraino, ma attribuito a Zelensky, di Lyudmyla Denisova, la commissaria ai diritti umani colpevole di non aver saputo organizzare i corridoi umanitari e di non aver fornito le prove degli stupri sui bambini compiuti dalle forze russe. Una decisione che «mina l’indipendenza di un’importante istituzione», si legge in una nota della Missione Onu di monitoraggio dei diritti umani in Ucraina.
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