Berlinguer, oltre le mitizzazioni
Cultura

Berlinguer, oltre le mitizzazioni

Il Pci in piazza con Enrico Berlinguer dopo le elezioni regionali, 17 giugno 1975, Piazza di San Giovanni in Laterano, Roma – Foto da Archivio Enrico Berlinguer gestito dalla Fondazione Gramsci Onlus di Roma

Novecento Ieri negli spazi del Mattatoio di Roma si è aperta la mostra sul segretario del Pci, visitabile fino all’11 febbraio. L’originale lascito politico attraverso una biografia per immagini, suoni e rari documenti d’archivio

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 16 dicembre 2023

«Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, e il cui carattere distintivo è lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni». Fa un certo effetto rileggere queste parole, con pochissime variazioni dalla forma che assumerà il resoconto ufficiale, vergate nella calligrafia leggermente inclinata e regolare di Enrico Berlinguer. Il foglio è scritto a blocchi non uniformi, con larghi spazi, a volte riempiti con aggiunte e linee curve che indicano dove vanno inserite, e ci sono due cancellature. Una scrittura di getto, con improvvisi ripensamenti? Un manoscritto restituisce sempre qualche cosa di più di un testo e stampato, e anche dell’esperienza dell’ascolto diretto.

IL DISCORSO È QUELLO, famoso e molto discusso, pronunciato dal segretario del Pci al convegno «dell’Eliseo», anno 1977. Il foglio con gli appunti si può leggere sotto il vetro di uno dei tavoli che ospitano moltissimi altri documenti storici alla mostra su Berlinguer inaugurata ieri in due grandi padiglioni dell’ex Mattatoio di Roma, del quale procede una grande trasformazione architettonica in una molteplice sede di spazi, realtà e eventi culturali. Berlinguer aveva di fatto improvvisato una specie di salto mortale politico e teorico, rovesciando il termine «austerità», già allora appiccicato alle scelte restrittive di una politica economica nazionale stretta dalla crisi e impopolare, nel significante di una leva quasi «rivoluzionaria».

E ho scritto «improvvisato» avendo potuto raccogliere da Aldo Tortorella, allora responsabile della sezione culturale del partito, il racconto di come una iniziativa che aveva raccolto l’adesione di molti intellettuali italiani, e il cui tema doveva essere proprio la trasformazione della stessa figura dell’intellettuale nel mondo della rivoluzione tecnico scientifica e della cultura di massa, era stata trasformata dal discorso del segretario imperniato su quel termine che non era previsto assumesse tanta centralità, in qualcosa d’altro. Nel proposito di prendere di petto le contraddizioni principali modernità capitalistica.

Enrico Berlinguer visita uno campi dei pionieri in Crimea, agosto 1979, Campo Artek, Hurzuf. Foto, Archivio Enrico Berlinguer gestito dalla Fonda

È IL BERLINGUER che aveva teorizzato, negli articoli sul Cile dopo il golpe e l’assassinio di Allende, la prospettiva di una alleanza con la Dc, di cui non andavano ignorate anche le tendenze popolari e progressiste, oltre che con i socialisti e altre forze democratiche, per aprire in Italia una nuova fase. Un rinnovamento profondo, che non escludeva l’introduzione di «elementi di socialismo». Walter Veltroni, che ha concluso l’inaugurazione insieme al sindaco di Roma Gualtieri e Bianca Berlinguer, ha definito quella proposta sul «compromesso storico» una idea «eversiva» rispetto alla guerra fredda. C’è qualcosa di vero. Quella prospettiva, come si sa, non piaceva affatto né agli Usa di Kissinger, né all’Urss di Breznev. L’anno successivo Aldo Moro, che quell’idea seguiva con intenzionalità probabilmente assai diverse da quelle del capo del Pci, fu rapito e assassinato dalle Br. E qualche anno prima, nel ’73, proprio subito dopo la pubblicazione del primo di quegli articoli, Berlinguer aveva subito un «incidente» in Bulgaria da cui era uscito solo un po’ ammaccato quasi per miracolo (un altro passeggero della vettura in cui viaggiava restò ucciso) e riteneva che si trattasse di un attentato.

Il segretario del Pci è stato oggetto di mitizzazioni opposte. L’uomo politico italiano più lungimirante e più amato, non solo dai militanti del Pci. O al contrario un leader che commise errori gravi di valutazione, e che concluse il suo percorso su posizioni per alcuni quasi impolitiche, ideologiche e settarie. Uno sconfitto.

LA MOSTRA ROMANA, intitolata I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer e promossa dall’Associazione Berlinguer e dal suo presidente Ugo Sposetti (con il Comune di Roma, l’Azienda speciale Palaexpo e con il contributo dei finanziamenti che la presidenza del Consiglio dei ministri assegna agli «anniversari nazionali») resterà aperta e gratuita fino all’11 febbraio, ed è una ottima occasione per rimeditare questi giudizi contraddittori, lungo percorsi di documentazione, intepretazione, immagini, oggetti molto significativi. Cinque principali sezioni tematiche parlano degli affetti, del ruolo dirigente esercitato nella crisi italiana e nella dimensione globale, dell’eredità attuale e di che cosa guarda al futuro.

Accanto agli appunti per il discorso dell’Eliseo c’è lo scambio di lettere con monsignor Bettazzi – siamo sempre in quel fatidico 1977 – che aprì un’altra discussione sul rapporto tra il partito comunista italiano e una Chiesa cattolica che stava ancora elaborando il messaggio del Vaticano II. Ma altri bigliettini vergati a mano o brevi lettere ufficiali parlano dei rapporti non solo con Moro, ma con Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Giorgio La Pira.

Tutta la mostra è percorsa da numerosissime fotografie, piccole, grandi, giganti, quasi tutte in bianco e nero, che ritraggano Berlinguer in atteggiamenti e situazioni diverse. Nei comizi, nelle sezioni di partito. Accanto a personaggi della politica internazionle: Fidel Castro, Arafat, Santiago Carrillo, intellettuali e artisti come Guttuso, Bobbio, Moravia (lo scrittore qui è come sovrastato dal segretario comunista con il suo grande fascio di giornali, e da Aldo Tortorella che sembra minacciare con braccio e indice teso un Adalberto Minucci seduto accanto a Moravia). Berlinguer ha molto spesso la sigaretta in mano, e quasi sempre appare sorridente. Mi sono chiesto se sia stata una scelta precisa degli autori della mostra, questa dei sorrisi. Una galleria ricchissima di sorrisi diversamente intensi. La foto che campeggia nell’invito e nel cartellone principale della mostra è invece un Berlinguer in piedi, in una specie di sosta dinoccolata, un braccio destro dietro la schiena, e la mano sinistra che sostiene il mento. La testa leggermente inclinata e un’espressione leggermente corrucciata, che si interroga.

L’UMANITÀ AFFASCINANTE di questa persona si riflette in altri modi. C’è il suo scrittoio restaurato, uno scaffale con i libri che leggeva da giovane (non dico quali, sono interessanti per immaginare gli ideali a cui disse di essere rimasto sempre fedele), e un lungo tavolo stracolmo di tutti i libri che sono stati scritti su di lui. Molte cose preziose sono state prestate dalla famiglia, i suoi quattro figli Bianca, Maria, Marco e Laura. Le parole alla fine dell’inaugurazione di Bianca sono state molto commoventi: ha parlato di un lutto improvviso che sopravvive ancora oggi, non ancora del tutto elaborato, ma grandemente aiutato da quella collettività di milioni di persone che si sono sentite e che restano «orfane». Suo papà era certo un uomo serio e rigoroso, ma non è vero che fosse «triste». Un’idea «falsa e ingiusta», smentita dal lasciarsi sollevare in braccio quella famosa volta da Benigni.

All’inaugurazione era presente tantissima parte di una sinistra con orientamenti diversi. Qualcosa che già sembra smentire – definitivamente? – quei giudizi politici così contrastanti che ho ricordato all’inizio. Tutti rivendicano un loro Berlinguer? La segretaria del Pd Elly Schlein ha passeggiato con D’Alema e Fassino. C’era Cuperlo, c’era Antonio Rubbi, a lungo responsabile Esteri del Pci, c’era Luciana Castellina. C’era Antonio Bassolino ma l’elenco sarebbe lunghissimo. Il sindaco Gualtieri ha legato la figura di Berlinguer anche alla trasformazione del Pci nell’attuale Pd. Ci sarebbe da discutere, e farlo sarebbe un modo giusto di continuare a non dimenticare quell’uomo, morto quando pensava a un nuovo programma fondamentale per il suo partito. Pace, ambientalismo, femminismo, attenzione alla rivoluzione scientifica e tecnologica. Valore universale della democrazia.

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