«Siamo fortemente delusi dalle autorità e dalle istituzioni pubbliche tedesche che ospitano la Berlinale, le cui politiche di fatto criminalizzano, censurano, mettono a tacere le espressioni di solidarietà con i palestinesi provenienti dal settore culturale, comprese quelle fatte da importanti operatori culturali ebrei. Queste politiche ci hanno intimidito rispetto al rendere note le ingiustizie a cui assistiamo, ma insieme troviamo la forza di dare voce alle nostre preoccupazioni». Recita così uno dei passaggi della lettera firmata da numerosi registi e registe dei film invitati alla Berlinale, oltre che da attori, direttori della fotografia, produttori.
Un’iniziativa che si va ad aggiungere all’appello di alcuni giorni fa diffuso numerosi dipendenti dello stesso festival, tra cui diversi programmatori. Questa nuova lettera è partita dall’impulso dei filmmakers del Forum Expanded, che hanno firmato in blocco. D’altronde la sezione ibrida, che accoglie film come istallazioni e performance, viene concepita ogni anno in maniera tematica, e la radicalità della forma si rispecchia spesso in una radicalità del contenuto. La selezione di quest’anno, dal titolo Distant Connections, intende riflettere sulle comunità, «le opere evocano solidarietà, coesione e speranza mettendo in evidenza legami permanenti – affinità familiari o elettive che sovvertono le norme sociali». Forse, la distanza tra le istanze promulgate nei film e la realtà circostante si è dimostrata troppo ampia per tacere. A cui si aggiunge la «diversità di trattamento» tra i conflitti nel mondo. Come ha detto a «Variety» il regista palestinese Kamal Aljafari: «Quando è iniziata la guerra in Ucraina, o quando ci sono state manifestazioni contro il regime in Iran l’anno scorso, la Berlinale ha mostrato un sostegno infinito a queste cause, eppure Gaza viene ora totalmente ignorata».

LA LETTERA è stata firmata anche da numerosi autori e addetti ai lavori di altre sezioni. Nessun regista del concorso internazionale al momento si è esposto, ma tra la lista dei nomi possiamo trovare figure come Bruce LaBruce, Ben Russell o come l’attrice francese Maud Wyler.
«Siamo preoccupati per l’islamofobia e l’antisemitismo crescenti, in Germania e altrove. Temiamo anche che l’aumento delle accuse infondate di antisemitismo contro le voci che dissentono e che sostengono la Palestina possano essere usate per distogliere l’attenzione dal reale antisemitismo che sta crescendo nell’ombra» prosegue poi la lettera, che rivolge alla Berlinale alcune richieste ben precise: smettere di accusare di antisemitismo chi sostiene la Palestina; confrontarsi con la censura dilagante nel mondo della cultura tedesco; dare riconoscimento ai filmmakers che hanno deciso di ritirare le loro opere dal festival come forma di boicottaggio in solidarietà con Gaza. I loro nomi vengono ricordati: John Greyson, Lawrence Lek, Suneil Sangzigri, Maryam Tafakory, Ayo Tsalithaba.