«L’umanità deve porre fine alle guerre o sarà una guerra a porre fine all’umanità». Dal Colosseo, dove ieri si è concluso l’incontro internazionale dei leader delle Chiese cristiane e delle religioni mondiali promosso dalla Comunità di sant’Egidio («Il grido della pace»), si è levato un appello a un immediato «cessate il fuoco universale» – ma lo sguardo era rivolto soprattutto all’Ucraina -, alla «non proliferazione» delle armi e allo «smantellamento» degli arsenali atomici.

«LA GUERRA È UN’AVVENTURA senza ritorno nella quale siamo tutti perdenti. Tacciano le armi, si dichiari subito un cessate il fuoco universale. Si attivino presto, prima che sia troppo tardi, negoziati capaci di condurre a soluzioni giuste per una pace stabile e duratura. Si riapra il dialogo per annullare la minaccia delle armi nucleari», esorta l’appello di pace firmato da cristiani, musulmani, ebrei e credenti in altre fedi, sulla scia dello «spirito di Assisi», primo incontro mondiale delle religioni convocato da Giovanni Paolo II nel 1986 nella città umbra. «Siamo a un bivio: essere la generazione che lascia morire il pianeta e l’umanità, che accumula e commercia armi, nell’illusione di salvarsi da soli contro gli altri, o invece la generazione che crea nuovi modi di vivere insieme, non investe sulle armi, abolisce la guerra come strumento di soluzione dei conflitti e ferma lo sfruttamento abnorme delle risorse».

Non c’è più la guerra fredda, ma le lancette dell’orologio della storia sembrano tornate indietro di 60 anni, come ha detto il papa nel suo discorso al Colosseo, in chiusura della tre giorni di confronti e dibattiti che, a parte la preghiera interreligiosa di ieri pomeriggio, si è svolto alla Nuvola all’Eur.

DURANTE LA CRISI DEI MISSILI di Cuba nell’ottobre 1962, «mentre sembravano vicini uno scontro militare e una deflagrazione nucleare» – ha ricordato il pontefice -, Giovanni XXIII esortò i governanti a fare «tutto quello che è in loro potere per salvare la pace» e per evitare «al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze». Ha aggiunto Bergoglio: «Parole che suonano di impressionante attualità, le faccio mie. Non siamo neutrali, ma schierati per la pace. Perciò invochiamo lo ius pacis come diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza».

Un richiamo, quello al 1962, che è risuonato anche in altri interventi, da Marco Impagliazzo (presidente della Comunità di sant’Egidio) a Jeffrey Sachs (consigliere speciale del segretario generale dell’Onu), che sembrava riferirsi proprio alla guerra Russia-Ucraina: «In un tempo di proliferazione nucleare, nessuno può permettersi di mettere gli avversari all’angolo e umiliarli. C’è bisogno di diplomazia».

QUELLA STESSA DIPLOMAZIA invocata il primo giorno del meeting dal presidente francese Emmanuel Macron – mentre però invia armi a Kiev -, che lunedì è poi stato ricevuto in Vaticano da Bergoglio per parlare anche di Ucraina, e che ieri ha registrato un segnale da Mosca, con il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov che ha accolto positivamente la proposta di Macron di includere papa Francesco e Biden nei colloqui alla ricerca di una soluzione che ponga fine alla guerra.

«La nostra preghiera è diventata un grido, perché oggi la pace è gravemente violata, ferita, calpestata, in Europa, cioè nel continente che nel secolo scorso ha vissuto le tragedie delle due guerre mondiali, e siamo nella terza», ha detto ancora ieri il pontefice. «Oggi si sta verificando quello che si temeva e che mai avremmo voluto ascoltare: l’uso delle armi atomiche, che colpevolmente dopo Hiroshima e Nagasaki si è continuato a produrre e sperimentare, viene ora apertamente minacciato».

L’APPELLO FINALE dal Colosseo è un’autocritica per il ruolo non sempre pacifico delle religioni («anche tra noi ci siamo talvolta divisi abusando del nome di Dio, ne chiediamo perdono, con umiltà e vergogna») e un auspicio per il futuro: liberiamo il mondo «dall’incubo nucleare» e «investiamo su ogni via di dialogo». La pace è sempre possibile!».