«Non hai notato? piangono tutti. Chi? artisti, commercianti ma non i collezionisti soprattutto non i tirchi», ha scritto Ben nella sua ultima newsletter la settimana scorsa quasi come una premonizione. Ben, Ben Vautier, uno degli artisti più sovversivi, spavaldi e anarchici del Fluxus – il gruppo transnazionale nato nel 1959 dalla mente e dalle mani di George Maciunas – si è sparato un colpo di pistola ieri mattina nella sua casa di Nizza all’età di 88 anni. Il giorno prima, martedì, la moglie Annie è morta improvvisamente di ictus e Ben, disperato, non ha voluto interrompere la felicità di un’unione assoluta.

NATO A NAPOLI nel 1935 – «ho bevuto il latte delle mamme napoletane» diceva orgoglioso – si trasferisce a Nizza nel 1949 con la famiglia. Nel 1958, in rue Tonduti de l’Escarèn, apre il Magasin de Ben, un bazar zeppo di vinili, alambicchi, pannelli pubblicitari, scritte e centinaia di objets trouvés accatastati uno sull’altro. Lì dentro può andare chiunque a parlare, esibirsi, scambiare, bere, comprare e tra gli amici ci sono Yves Klein e Arman. Quella specie di capsula fluxus, venne acquistata in seguito dal Centre George Pompidou. Ben è esplosivo e firma qualsiasi cosa, alche la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1959 fonda la rivista Ben Dieu e tre anni dopo diventa un fluxer. Fa performance urbane come camminare verso il mare legato come un salame con un ombrello in mano o stare seduto su una poltrona alla Promenade des Anglais con la scritta «Guardatemi e basta». La sua forma espressiva è la parola, frasi brevissime, apodittiche, ironiche, dissacranti disegnano concetti: «l’art n’existe pas, «l’art est partout».
Per lui, come per gli altri fluxer, l’arte va azzerata, depotenziata, sbugiardata, sbeffeggiata. E’ frutto dell’ego e brama del mercato. Ben è contro ogni costrizione, contro la borghesia, i benpensanti e la coercizione, «c’est de la merde». E lo scrive, scrive sempre ciò che pensa e dissemina la città con il suo segno che diventa un brand. Astucci, T-shirt, diari, palloni, pochette, tutto ciò che è contaminabile viene contaminato, il mercato lo cerca e lo vezzeggia ma lui vive sempre nella dimensione del magasin, fottendosene della gloria.

Annie e Ben

È UNA FIGURA di primo piano dell’avanguardia, è un teorico dalla risata facile. Il suo lavoro lo si può interpretare come un libro infinito scritto non su fogli ma sulla pelle delle cose. Le pensiline del tram, il muro di una stradina in una piccola località della Costa Azzurra, un lampione, un cartello, ovunque. In Francia c’è traccia di lui ovunque, non come writer ma come maestro. «Ben sente l’energia del mondo – ha detto una volta la figlia Eva – si alza e va a farne subito qualcosa. Non si prende mai sul serio e non si può fermare».
Ha frequentato Duchamp, Cage, li ha amati ed è andato oltre come è andato oltre al muro di banalità che è stato costruito sul suo lavoro. Era ossessionato dall’ego, una dimensione che ha analizzato e scarnificato. «Ho preso il materiale dell’ego per dipingere, non c’è arte senza ego, cambiare l’ego è impossibile…puoi distruggerlo solo con il suicidio ma è troppo complicato». E invece no. Ben ha fatto tutto ciò che ha voluto, sino in fondo lasciando sgomento e attonito il mondo dell’arte.
Era una persona libera, senza confini. Questa doppia partenza, di Annie e di Ben è avvenuta il giorno nel quale, poche ore prima, è stato dato l’annuncio dell’acquisto, da parte della Kunsthalle di Brema, di una sua importante opera, Bizart Baz’art, che ospita 351 oggetti, giocattoli, slogan, dipinti, immagini, parole e simboli, ma soprattutto ospita la sua anima.