«Sono cresciuto, mi sono moderato ed ho capito che la vita è più complicata». Il suprematista Itamar Ben Gvir, in una improbabile versione francescana, ieri prima dell’incontro con il premier in pectore Benyamin (Bibi) Netanyahu, ha mandato attraverso il quotidiano di destra Israel HaYom una sorta lettera «ai fratelli della sinistra» israeliana. Scopo: proclamare la sua presunta conversione al rispetto dei diritti civili e assicurare che una volta nominato ministro «non cercherà di imporre la legge religiosa non reprimerà la libertà di dissenso». E che, pur non essendo entusiasta dei Gay Pride, assicurerà «la massima protezione agli uomini e alle donne che marciano».

Il leader del partito di estrema destra razzista Otzmah Yehudit (Potere ebraico) – parte della lista Sionismo religioso che alle elezioni di una settimana fa ha conquistato 14 seggi diventando il terzo gruppo alla Knesset – non ha fatto alcun riferimento alla questione dei palestinesi cittadini di Israele, suo frequente bersaglio, o a quelli che vivono sotto occupazione in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Nè a una eventuale ripresa delle trattative con l’Autorità Nazionale (Anp) di Abu Mazen.

D’altronde è ben nota la sua totale opposizione a qualsiasi idea di indipendenza e persino di autonomia amministrativa per i milioni di palestinesi che da oltre 55 anni vivono sotto l’autorità militare di Israele. Ben Gvir chiede di annettere unilateralmente l’intera Cisgiordania allo Stato ebraico. A metà ottobre hanno fatto il giro del mondo le immagini che lo vedevano estrarre una pistola nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est in risposta al lancio di pietre da parte palestinese. Durante l’incontro con Netanyahu, Ben Gvir ha reclamato per il suo partito oltre al ministero della pubblica sicurezza anche quello dell’istruzione. Otzmah Yehudit ritiene che nei programmi scolastici israeliani vadano introdotti dosi massicce di nazionalismo e religione.

In realtà con la sua lettera Ben Gvir più che rivolgersi ai «fratelli della sinistra» ha voluto mandare un messaggio conciliante all’Amministrazione Biden e ad altri governi occidentali che dopo il voto del primo novembre avevano fatto sapere che con lui e il resto di Sionismo religioso non coopereranno. Una posizione che avrebbe complicato e non poco la vita anche a Netanyahu che ha bisogno come l’aria del pieno appoggio Usa visto che intende ridare fiato all’idea di un attacco militare congiunto israelo-statunitense contro le centrali nucleari iraniane. Proclamandosi rispettoso dei diritti civili, il capo dell’estrema destra israeliana sa di poter aprire una breccia nella chiusura espressa da Washington. Un passo resosi necessario – forse su richiesta dello stesso Netanyahu che nei giorni scorsi aveva negato che saranno prese misure restrittive contro i diritti della comunità gay – perché solo ieri dagli Stati uniti sono arrivate le congratulazioni per la vittoria elettorale della destra israeliana.

Ci sono voluti cinque giorni dall’annuncio dei risultati finali del voto prima che Joe Biden si congratulasse con il suo vecchio amico Bibi. Non si era fatto vivo nemmeno il Segretario di Stato Antony Blinken che al G7 ha incontrato ministri degli esteri di tutto il mondo e parlato al telefono con i leader di Egitto, Iraq e anche dell’Anp. Ma non aveva chiamato con Netanyahu. L’ambasciatore Usa in Israele, Tom Nides, dopo il voto è stato l’unico a comporre il numero del leader israeliano.

Motivo del ritardo è che, con ogni probabilità, Netanyahu aveva impiegato alcuni giorni per congratularsi con Biden per la sua vittoria alle elezioni del 2020 e lo ha fatto solo quando è diventato chiaro che il suo alleato di ferro Donald Trump aveva effettivamente perso la Casa Bianca. Un gesto dovuto, per ovvie ragioni diplomatiche e alla luce dell’alleanza strategica tra Usa e Israele, ma che mandò su tutte furie Trump che accusò di ingratitudine Netanyahu, al quale aveva di fatto regalato il riconoscimento Usa di Gerusalemme come capitale di Israele, la legittimazione americana dell’annessione del Golan siriano e gli Accordi di Abramo tra lo Stato ebraico quattro paesi arabi, oltre alla negazione ripetuta dei diritti palestinesi. Comunque sia, ieri pomeriggio Biden ha telefonato a Netanyahu per congratularsi per la sua vittoria elettorale. In serata non era ancora noto il contenuto della conversazione.

Ieri il presidente israeliano Isaac Herzog ha incontrato alla Cop27 a Sharm el Sheikh, re Abdallah di Giordania. Il regno Hashemita in precedenza aveva ammonito il futuro governo di destra israeliano dal prevedere modifiche dello status quo sulla Spianata della moschee di Al Aqsa a Gerusalemme a vantaggio degli estremisti religiosi che sognano la ricostruzione del Tempio ebraico nel terzo luogo santo dell’Islam.