Bellocchio a Cannes: «Grazie al mio cinema adesso mi sento libero, ma non assolto»
Cannes 74 Ai Rendez-Vous il regista di Bobbio racconta il suo ultimo film (il documentario «Marx può aspettare») e non solo, in attesa della Palma d'oro onoraria
Cannes 74 Ai Rendez-Vous il regista di Bobbio racconta il suo ultimo film (il documentario «Marx può aspettare») e non solo, in attesa della Palma d'oro onoraria
«Non la considero un premio di risarcimento», ci tiene subito a precisare Marco Bellocchio: «La Palma d’oro d’onore mi rende felice, certo, ma io qui ho trovato sempre enormi soddisfazioni, tra cui la doppia Palma d’oro agli interpreti di Salto nel vuoto, Michel Piccoli e Anouk Aimee».
AI RENDEZ-VOUS di Cannes, presso la Sala Buñuel, il regista piacentino parla di cinema e non solo, e ritorna sulla sua carriera cinquantennale, quest’anno celebrata sulla Croisette con il premio ad honorem che gli verrà consegnato durante la cerimonia di chiusura del festival e con la presentazione del suo nuovo film, il documentario autobiografico Marx può aspettare («Due cose unite dalla generosità di Thierry Frémaux ad accoglierle qui insieme, ma anche molto distinte per me, per il tipo di sentimenti che suscitano»), sul quale Bellocchio si concede qualche battuta: «La prima del film mi fa stare non dico in ansia, ma mi fa palpitare, mi fa sentire più giovane, un così piccolo film nato per non avere una così grande ribalta…», e prosegue «è un’ultima occasione per fare i conti con qualcosa che era stato censurato, nascosto a tutti noi, da me e dalla mia famiglia. Prima abbiamo organizzato un pranzo al circolo dell’Unione a Piacenza che mio padre aveva fondato. Capii subito che non mi interessava fare una cosa nostalgica, tenera con chi restava della mia famiglia, mia sorella, i miei fratelli, ma che il focus sarebbe diventato “il grande assente” ossia Camillo, il mio gemello suicida a 26 anni nel 1968» (Il titolo del film, da oggi in sala distribuito da 01, viene da una frase pronunciata da Camillo a Marco in una discussione, da ragazzi).
NEL SUO DOCUMENTARIO il regista dei Pugni in tasca vede un approdo insolito per il suo cinema: «La memoria ha fatto riemergere una serie di frammenti attraverso i quali ho compreso che questa tragedia ha percorso l’intera mia vita. In questo film entra il mio voler fare cinema in un certo modo, anche il mio carattere, dopo tanti anni di rabbia e iconoclastia», e chiude: «Paradossalmente è il mio film più privato e anche il mio più libero, leggero, senza i condizionamenti che mi avevano impedito di riflettere su questo dramma, prima la salvaguardia di mia madre, poi la politica, poi la psicoanalisi. Ora finalmente sono sereno, ma non per questo mi sento assolto».
Chiamato a ritornare sugli anni della sua militanza, Bellocchio parte dall’attualità: «La politica oggi è separata dalla vita. Vince chi riesce a interpretare i bisogni della gente. Quando ero giovane io, la politica era una forma di riscatto, un’utopia assoluta, e io ci credevo. Poi la politica ha anche condizionato molte delle mie scelte, persino come regista. Talvolta arrivando finanche all’autocensura».
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