African National Congress (Anc) 40,2%; Democratic Alliance (Da) 21,6; uMkhonto we Sizwe (Mk) 14,7; Economic Freedom Fighters (Eff) 9,4; Inkhata Freedom Party (Ifp) 3,9.

CON OLTRE IL 99% DELLE SCHEDE scrutinate, il verdetto delle elezioni sudafricane che si è profilato nella giornata di ieri – oggi l’annuncio ufficiale – va ben oltre le previsioni di un Anc in forte declino. Dal 70% ottenuto nel 2004, il partito di Mandela senza Mandela lo avevamo lasciato in sofferenza nel 2019, al 57,5%, con una maggioranza assoluta ancora relativamente solida. Ora che ha superato a fatica il 40% dovrà giocoforza cercarsi degli alleati per governare. Va in archivio, forse per sempre, il suo trentennale dominio assoluto. Ma non per questo inizia l’era della Democratic Alliance, il partito più vicino alle sensibilità della minoranza bianca, malgrado il leggero incremento di voti. Quella che inizia adesso è una fase del tutto inedita nella storia democratica del Paese. La scelta del presidente spetta alla nuova Assemblea nazionale e dovrà considerare la resa dei conti interna all’Anc, che individuerà nel presidente Cyril Ramaphosa il primo responsabile della disfatta.

L’ELEMENTO che ha contributo più di ogni altro a un simile esito è anch’esso abbastanza clamoroso. L’ex presidente Jacob Zuma, sfiduciato e costretto alle dimissioni nel 2018 dopo pesanti accuse di corruzione e abusi di potere, condannato a 15 mesi per «oltraggio alla giustizia» nel 2021, si è vendicato brillantemente del partito che lo aveva messo alla porta (da ex compagno di sventura di Mandela a Robben Island disse sbattendo la porta che «neanche il regime dell’apartheid» lo aveva trattato così). Per lui parla la performance sorprendente di un partito lanciato appena sei mesi prima, che dalle urne esce come la terza forza del Paese. Partito nuovo, che rievoca però un passato a dir poco fiammeggiante: dall’uMkhonto we Sizwe (“Lancia della Nazione”), l’ala paramilitare dell’Anc fondata nel 1961 tra gli altri anche da Mandela, all’indomani del massacro di Sharpeville, ha preso sia il nome che il potente simbolo del guerriero zulu stilizzato, con scudo e lancia in resta. Rivendicando una verginità rivoluzionaria che l’Anc non può più esibire.

NELLA ROCCAFORTE del KwaZuluNatal ha funzionato eccome. Qui l’Mk ha stravinto con il 45,9% e non si accontenta. Ha denunciato manovre per impedirgli di ottenere la maggioranza assoluta nella provincia zulu per antonomasia. E lo stesso intende fare nel Western Cape, riconquistato dalla Da con il 53%, unendosi a una ventina tra partiti minori e candidati indipendenti che lamentano incongruenze nello scrutinio. Ma l’Mk è il solo che minaccia di non riconoscere il voto a livello nazionale se la Commissione elettorale non terrà nella dovuta considerazione le sue rimostranze.

L’EXPLOIT DI ZUMA alle urne può far pensare a una reazione quasi trumpista dell’elettorato alle sue vicende giudiziarie, che riguardano fatti rispetto a cui il divano imbottito di contanti rinvenuto in un soggiorno di Ramaphosa fa quasi sorridere. Ma dall’affluenza al 58,6% – mai così bassa – e con l’inedita frammentazione del quadro politico uscito da questa tornata elettorale emerge piuttosto come la nazione arcobaleno si stia progressivamente uniformando alle dinamiche politico-elettorali del nord del mondo.

ALLE ESTREMITÀ DEL CONTO presentato a Ramaphosa dagli elettori, a trent’anni dalle prime elezioni libere e dalle promesse che le animarono, ci sono quel 55% di sudafricani rimasti sotto la soglia di povertà e le sistematiche interruzioni di fornitura elettrica che negli ultimi tempi hanno vessato la popolazione della prima economia africana.

Inoltre Ramaphosa non è riuscito a capitalizzare nulla delle sue mosse pre-elettorali, prima fra tutte l’annuncio di un servizio sanitario pubblico in grado di riequilibrare le enormi diversità persistenti nel paese. Che in quanto tali sono la prova evidente di quanto l’Anc abbia fallito – al pari degli altri movimenti di liberazione dell’Africa australe. Né ha pagato, sul piano interno, l’impegno morale e politico assunto sullla questione palestinese, con la denuncia per genocidio contro Israele alla Corte di giustizia dell’Aja. Cosa su cui, a parte pochi distinguo, erano tutti d’accordo.

CHI NON LO ERA avrebbe preteso semmai una condotta più radicale. Ad esempio il partito Economic Freedom Fighters, che registra però una battuta d’arresto rispetto al 2014. I “berretti rossi” sono diventati così una ex spina nel fianco dell’Anc. Malema si è già detto pronto a entrare in una coalizione di governo, ora che l’Anc che non ha più l’arroganza dei numeri dalla sua parte ed è costretto a negoziare. Di frsi da parte per essere scivolato sotto il 10% non ci pensa proprio: «Se può farlo Zuma che ha 82 anni – ha detto al Mail&Guardian – dovrete aspettare che io abbia la sua età…».