Dalla «Rete stati Genderali» riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Scriviamo a nome di collettivi, assemblee, associazioni, reti territoriali e persone singole della comunità Lgtbqipak+ in Italia.

Il 16 settembre scorso la lettura della rubrica Verità nascoste dello psicoanalista Sarantis Thanopulos ci ha indignato. Le sue più che verità nascoste ci appaiono menzogne e violenze reiterate a carico della comunità trans.

«Quando si procede alla manipolazione chirurgica e ormonale del proprio corpo si slitta dell’assoggettamento dell’intimità psichica all’esteriorità dell’immagine», scrive Thanopulos, quando si tratta invece di una pratica propria del nostro diritto di scegliere in autonomia la nostra espressione di genere, affinché ciò che vediamo di noi ci corrisponda intimamente. «La manipolazione chirurgica penalizza severamente il piacere sessuale» si scrive nell’articolo.

Ma a quale sessualità si riferisce? Forse quella eteronormata per cui l’unico piacere possibile è quello dato dalla penetrazione fallovaginale? E soprattutto, da quali fonti trae queste informazioni che ci sembrano autoprodotte in un immaginario che mai ha vissuto il piacere erotico nelle esperienze diverse per desideri, pratiche e vite dei corpi trans?

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«Costruire ad arte un corpo corrispondente all’immagine che si vorrebbe di sé, per esigenze personali, non è peccato e men che mai un crimine. A mio parere fare di ciò uno dei tanti paradigmi normativi della vita non è cosa buona» scrive ancora Thanopulos, sfiduciando quindi le tante cliniche ortopediche che propongono protesi degli arti, o le cliniche dentistiche che ci vendono favolosi sorrisi, o apparecchi uditivi che permettono relazioni sociali.

Viviamo in una società che ha fatto del cyborg una realtà costante e quotidiana. Non capiamo perché ci si accanisca sull’uso di questi interventi solo quando si riferiscono a corpi trans.

In quanto identità transgender e non binarie, oggetti e mai soggetti di studio da più di cento anni, ci ritroviamo ancora una volta a non sentirci rappresentat* dalle parole di uno di quei professionisti che hanno il potere di veto su scelte che dovrebbero appartenerci e, come sentinelle del genere, di giudicare se siamo abbastanza uomini o donne per la visione sociale normata.

La comunità transgender da anni lotta per la depatologizzazione delle identità trans. Non siamo persone malate curabili correggendoci i corpi con ormoni e interventi chirurgici.

MtF e FtM sono termini obsoleti che mettono sullo stesso piano il genere assegnato e quello di elezione, riducendo i percorsi di affermazione di genere a una sorta di inversione biologica.

Scrivere «i transessuali si concepiscono come appartenenti a uno dei due generi esistenti, femminile e maschile. Sul piano dell’orientamento sono eterosessuali» è interamente sbagliato.

Dall’universale maschile per «transessuali», all’orientamento sessuale sovradeterminato. Come tutte le persone affermiamo il diritto di poter vivere le relazioni che vogliamo. L’idea che a un determinato genere corrisponda un determinato corpo e/o organo genitale è genitalocentrica e nociva non solo per le persone trans. Crediamo di poter convenire tutt* che non siamo i nostri genitali e non sono le nostre pratiche sessuali a determinarci, se non in un mondo in cui un genere ne domina un altro.

Tra l’altro non c’è nulla di biologico o naturale nel binarismo maschio-femmina, e l’esistenza delle persone intersex lo dimostra così come l’accanimento sui loro corpi alla nascita perché siano corrispondenti ai modelli dati.