Quando un diritto si trasforma in un percorso a ostacoli
Progetto Filippide Presidio in piazza del Campidoglio per 80 cittadini con autismo e malattie rare che rischiano di non poter più praticare sport. L'assessorato competente del Comune infatti non ha ancora chiarito quale sarà il loro futuro
Progetto Filippide Presidio in piazza del Campidoglio per 80 cittadini con autismo e malattie rare che rischiano di non poter più praticare sport. L'assessorato competente del Comune infatti non ha ancora chiarito quale sarà il loro futuro
Il Progetto Filippide rischia lo stop. La strada per la ripresa di quello che da più di vent’anni rappresenta un’eccellenza tra i progetti sportivi, e che permette ogni anno a 80 cittadini di Roma con autismo e malattie rare di praticare sport, sembra si sia trasformata in un vero e proprio percorso a ostacoli. Nonostante sia riconosciuto a livello nazionale -dal Coni- e internazionale -collabora anche con l’Onu-, l’assessorato alle politiche sociali e alla salute del Comune di Roma non ha ancora accettato la richiesta di adeguamento del finanziamento. O meglio, l’ha fatto imbastendo un nuovo bando, «ma è stato fatto scattare in netto ritardo rispetto agli anni precedenti», chiarisce Antonio Amoroso del comitato dei genitori degli atleti. «È sempre partito tra giugno e luglio, mentre quest’anno solo a settembre».
PROPRIO NEI GIORNI in cui si svolgevano le Paralimpiadi e gli occhi del mondo erano puntati su una competizione che sta lentamente cambiando lo sguardo nei confronti la disabilità, il comitato dei genitori del progetto era impegnato a scrivere lettere di protesta indirizzate al Sindaco Gualtieri, alla presidenza dell’assemblea capitolina e anche al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma soprattutto ha organizzato più di un presidio in piazza del Campidoglio, l’ultimo martedì primo ottobre. Una data in cui «ogni anno iniziamo a svolgere gli allenamenti, mentre oggi siamo qui in piazza a far sentire la nostra voce, senza neanche sapere se le attività riprenderanno ed eventualmente con quali tempi», dice al microfono il presidente dell’associazione, Nicola Pintus. Insieme ai figli atleti e ai lavoratori del progetto, hanno chiesto a gran voce che la ripresa delle attività sportive avvenga come sempre: dai primi giorni di ottobre fino al termine di giugno 2025, così da garantire la continuità delle attività e la sicurezza occupazionale per gli operatori. Gli atleti presenti hanno anche praticato alcune attività sportive, insieme agli operatori, direttamente in piazza del Campidoglio. Poi, è arrivato il momento per un confronto tra una piccola delegazione di genitori e lavoratori con l’assemblea capitolina.
Negli anni le varie giunte hanno sempre confermato i finanziamenti, spesso rinnovandoli e adeguandoli, ora però sono fermi alle stesse cifre da più di un decennio. L’impegno economico aggiuntivo, secondo il comitato dei genitori, è certamente alla portata del Comune e serve a coprire l’aumento dei costi, tra cui il costo del lavoro degli operatori, aumentato del 30% con la nuova normativa entrata in vigore a inizio 2024. Per oltre dodici anni le loro retribuzioni erano rimaste invariate, ora che finalmente è arrivato l’adeguamento e saranno versati tutti i contributi, tutto il progetto rischia di saltare.
NELL’INCONTRO tra le parti l’assemblea capitolina ha confermato la volontà di garantire la ripresa delle attività in tempi brevi, adeguando gli stipendi dei lavoratori con il nuovo bando. Ma è un percorso a ostacoli: i tempi sono ancora lunghi, la manifestazione d’interesse è scaduta, e ora, per le associazioni che hanno partecipato al bando, c’è tempo fino al 14 ottobre per presentare i progetti. La decisione finale «arriverà dopo 15-20 giorni» spiega Amoroso appena uscito dal confronto in Capidoglio. «Nel frattempo è stata proposta una proroga del contratto di un mese, ma alle vecchie condizioni economiche. Ora però non è detto che i lavoratori siano disposti ad accettare contratti così brevi, con salari bassi, senza avere la certezza che poi vengano rinnovati e adeguati», conclude Amoroso. Operatori che sono figure fondamentali. Grazie al loro lavoro favoriscono l’avvicinamento del singolo atleta alla propria disciplina, infatti, come si legge in una nota pubblicata dal comitato dei genitori, «dopo anni di affiancamento agli atleti con autismo, malattie rare e sindrome di Down, hanno conseguito una professionalità di prim’ordine, assolutamente irreperibile sul mercato del lavoro: un patrimonio umano e di conoscenze che non può essere disperso ma che deve essere adeguatamente remunerato e garantito sul lavoro». La situazione rimane complessa e Lorenzo, operatore del progetto, in questo momento ha solo una certezza: «per ora so solamente che siamo ancora fermi e senza stipendio. Le bollette non si pagano da sole e non avere alcuna certezza su cosa accadrà rende il tutto ancora più frustrante».
L’idea del Progetto Filippide nasce nel 2002 e si trasforma in realtà poco dopo, quando nel 2005 trenta atleti con autismo hanno finalmente potuto iniziare a praticare sport. Col passare degli anni il progetto è cresciuto sempre più e il numero degli atleti coinvolti è salito a quota 80. L’atletica e il nuoto sono le discipline praticate di più e, nella maggior parte dei casi, questi sport sono parte integrante e fondamentale del percorso terapeutico. Dal 2012 organizza ogni anno a Roma anche la «Run for Autism», che nell’ultima edizione ha visto la partecipazione di oltre 3.500 atleti arrivati da tantissime delegazioni internazionali di tre diversi continenti.
OGGI è una delle pochissime attività gratuite di questo tipo presenti nella capitale, e ha sempre generato enormi risvolti positivi sulla salute psichica e fisica delle persone coinvolte e delle loro famiglie. «Un traguardo che la città di Roma dovrebbe preoccuparsi di consolidare e rilanciare, non certo cancellare» gridano le voci in piazza, ribadendo quanto scritto nelle lettere di denuncia: «è importante considerare il gravissimo disagio che comporta il mancato avvio delle attività sportive per gran parte degli atleti con autismo e malattie rare, per i quali è difficilissimo adattarsi alla alterazione delle abitudini consolidate, quale quella di iniziare lo sport nel periodo di avvio dell’anno scolastico o comunque con l’inizio dell’autunno. Tale situazione, oltre a danneggiare i diretti interessati, ricade interamente sulle loro famiglie, visto che spesso comporta il manifestarsi di comportamenti problematici e di difficile gestione».
Famiglie che, come disse il Presidente Mattarella in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità lo scorso 3 dicembre, «sono il più delle volte il principale se non unico sostegno per le persone con disabilità». Per quanto riguarda lo sport, da sole possono fare ben poco. A maggior ragione perché gli spazi disponibili, pubblici o privati, non risultano mai idonei per cittadini con specifiche disabilità e trovare un’alternativa al tempo che avrebbero trascorso allenandosi non è cosa facile. Le famiglie devono per forza organizzare altre attività extrascolastiche o extra lavorative, sostenendo privatamente spese che non tutte possono permettersi. Nel cercare una soluzione, sono molte le famiglie che rimangono isolate.
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