L’Europa del futuro assomiglia sempre più a un campo di prigionia. Torrette di guardia, soldati impegnati a sorvegliare le strade che costeggiano le frontiere e pronti a intervenire per intercettare e bloccare eventuali intrusi. Che, rispetto al passato, non sono le truppe di un Paese ostile ma migranti, uomini, donne e bambini che l’Europa di oggi vede come i nuovi nemici.

A illustrare come potrebbe essere tra solo qualche anno il Vecchio continente, sicuramente molto diverso da come l’immaginavano i padri fondatori dell’Europa unita, è stata la scorsa notte la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen al termine di un consiglio europeo in cui i capi di Stato e di governo hanno discusso anche della possibilità di costruire nuove barriere anti migranti attingendo al bilancio Ue. Un’ipotesi che in passato – grazie anche ai paletti imposti dalla cancelliera Merkel – è sempre stata bocciata ma che oggi potrebbe trasformarsi in realtà. Al punto che von der Leyen è andata anche oltre, avvertendo che i muri da soli non bastano. «Uno dei progetti pilota a cui miriamo ha una recinzione esistente, ma nient’altro. E questo non funziona», ha spiegato. «Quello che è necessario e che è chiaro è che c’è anche bisogno delle telecamere, di sorveglianza elettronica lungo la recinzione, c’è bisogno di strade, di pattuglie, di personale specializzato, di torri di guardia e di veicoli. Quindi tutti questi provvedimenti dovrebbero essere in un pacchetto integrato». Per la presidente della Commissione l’obiettivo è quello di avere «un confine funzionante in cui sappiamo che, se qualcuno arriva al confine, c’è una procedura che dovrebbe essere la stessa per tutte le frontiere esterne europee».

Muri, barriere, recinzioni o comunque le si voglia chiamare non sono purtroppo una novità in Europa. Stando a un documento pubblicato l’anno scorso dal parlamento europeo sono già gli 10 Stati membri che hanno reso sempre più protette e invalicabili le proprie frontiere. Con buona pace di Schengen Spagna. Lituania. Grecia, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Estonia, Lettonia, Francia e Austria hanno blindato in tutto 2.048 chilometri di confini, quasi sempre interni all’Ue. Quelli di cui si parla oggi sono invece i confini esterni che vengono attraversati dai migranti che cercano di entrare in Europa. Pur di fermarli l’Unione europea è pronta a tutto, anche a creare appositi uffici alle frontiere dove esaminare rapidamente le richieste di asilo e dove organizzare i rimpatri immediati per chi non dovesse vedersi riconosciuto lo status di rifugiato. Una possibilità prevista dal Patto su immigrazione e asilo che interessi contrapposti tra gli Stati hanno tenuto chiuso in un cassetto per due anni e che adesso invece potrebbe davvero essere approvato entro la primavera del 2024.

A contestare un simile scenario è stata ieri la Confederazione europea dei sindacati (Ces): «Spendere i fondi Ue per le recinzioni alle frontiere rappresenterebbe un uso improprio e criminale del denaro pubblico e ci allontanerebbe dall’Europa sociale che sarebbe vantaggiosa per i lavoratori» ha detto Ludovic Voet, segretario confederale della Ces per il quale «fermare i migranti non è la priorità dei lavoratori».