Lo scorso anno in Gran Bretagna destò notevole interesse la riproposta, a quarant’anni dalla prima pubblicazione, di Brother of the More Famous Jack, esordio della scrittrice di origine sudafricana, Barbara Trapido, trasferitasi in Inghilterra ventenne, nei primi anni Sessanta. Romanzo di culto per più di una generazione di lettrici inglesi, con il nuovo millennio l’opera prima di Trapido era caduta nell’oblio, mentre l’autrice aveva ormai scelto il silenzio (l’ultimo dei suoi sette romanzi risale al 2010). L’edizione Bloomsbury del quarantennale, salutata con entusiasmo da chi, come Rachel Cusk, si era identificata da giovane con la protagonista, e ne conservava nelle orecchie «la voce inconfondibile», sorprendeva quanti non avevano già letto il suo lavoro: il romanzo non solo non era datato, ma presentava situazioni e personaggi ancora attuali, in un linguaggio decisamente audace e con uno humour venato di cinismo spesso sarcastico, alquanto raro nella narrativa femminile. Finora inedita in Italia, sulla scia del successo della riedizione inglese, l’opera prima di Barbara Trapido (di cui nella nostra lingua esiste un solo altro lavoro, In bilico) è ora finalmente tradotta in italiano, con il titolo Il fratello del famoso Jack (Harper Collins,  pp.314, €18,50, traduzione di Claudia Durasanti).

L’ironia che permea l’intero testo traspare fin dalla copertina, che mostra una figuretta stilizzata in minigonna, di spalle, su sfondo azzurro pastello: l’immagine sarebbe perfetta per un prodotto letterario ascrivibile alla cosiddetta chick lit; del resto, il canovaccio, ridotto all’osso, è quello tipico della narrativa rosa: una ragazza raggiunge la maturità (che coincide con il matrimonio) dopo una serie di esperienze sentimentali insoddisfacenti (quando non drammatiche) attraverso la ricerca, il riconoscimento e il rifiuto di svariati modelli comportamentali adulti. Come si conviene a questo genere di racconto, largo spazio è riservato ai turbamenti (e all’amara delusione) del primo amore, mentre l’unione con un uomo in precedenza disprezzato chiude la vicenda. E tuttavia, fin dall’apertura, Trapido capovolge gli stilemi della narrazione tradizionale, ricopiando, proprio nella prima pagina della sua storia, i ringraziamenti anticonvenzionali reperiti da Katherine, la protagonista, in un libro scritto dal professore di filosofia da lei idolatrato. Jacob, questo è il nome del docente, dopo aver precisato che la moglie non legge le sue opere e non lo assiste nel suo lavoro, conclude precisando che,  per consuetudine accademica deve ringraziarla licenziando il suo scritto, ma lo farà soltanto «per il piacere della sua presenza».  Non a caso, questi ringraziamenti anticonvenzionali sono riportati dalla narratrice a mo’ di prefazione: vi si trovano adombrati, infatti, tutti temi del libro, dalla messa in discussione del rapporto tra i generi all’interno del matrimonio alla rappresentazione caustica dell’intellighenzia di sinistra che, pur dichiarandosi aperta e tollerante oltre i limiti di quella che oggi chiameremmo correttezza politica, non è esente da un certo maschilismo patriarcale.

Romanzo di formazione molto sui generis, pur ripercorrendo le tappe canoniche della tipica iniziazione femminile ­ la protagonista lascia la famiglia a diciotto anni per frequentare l’università e, dopo svariate peripezie, finisce a più di trent’anni moglie e madre ­ Il fratello del famoso Jack decostruisce gli schemi classici della coming of age novel attraverso i commenti di Katherine, ora sarcastici ora mordaci, sempre spiazzanti, sulle vicende in cui si trova coinvolta e, soprattutto, sugli uomini della sua vita. Avida lettrice di Jane Austen, Katherine prende a modello l’ironia della scrittrice inglese per i suoi dialoghi pungenti e le descrizioni cariche di humour. E se la spudoratezza con cui affronta ora le sue avventure erotiche ora la mancanza di inibizioni di Jacob e della sua numerosa famiglia sono ben lontane dall’understatement e dal decoro tipici di Jane Austen, la tendenza di Katherine e delle altre donne apparentemente forti del romanzo a impegnarsi in unioni incongrue e a farsi guidare dagli uomini suggerisce – ancora una volta ironicamente – che molta strada resta da percorrere per affrancarsi dal prototipo della fanciulla austeniana, volitiva e indipendente fintanto che l’uomo «giusto» non appare all’orizzonte.

Il fratello del famoso Jack non è, dunque, un romanzo di impronta femminista, ma piuttosto la fotografia, lucida e variegata, di una società che non è riuscita – almeno non completamente – a trasformare in consapevole e responsabile indipendenza il permissivismo trasgressivo degli anni Sessanta. Tuttavia, tra le pagine di Trapido, accanto ad atteggiamenti difficilmente ammissibili in tempi di «Me too», si trovano esternazioni e descrizioni inconsuete anche nella narrativa che si proclama femminista. Il fascino di questo romanzo sta proprio nell’assenza di sovrastrutture ideologiche: come nota acutamente Rachel Cusk nella postfazione, Trapido riesce, grazie allo spirito dell’outsider, a tratteggiare le aporie di un’Inghilterra medio-borghese colta nel trapasso tra l’ebbrezza della swinging London e il black out degli anni Settanta, un paese moralmente confuso, «dove l’ideologia marxista incontra la gabbia ristretta dei valori provinciali, dove il femminismo parla al mondo delle casalinghe, dove (…) le nuove generazioni si aggrappano ai ruoli sociali e familiari prestabiliti e alla responsabilità».