Balneari, l’Ue affossa la proposta del governo: basta proroghe
La bozza di legge del governo Meloni sulle concessioni balneari è stata respinta dalla commissione Ue su quasi tutta la linea. Palazzo Chigi aveva inviato il testo a inizio agosto a Bruxelles, che ha espresso i suoi rilievi giovedì. Invitando l’esecutivo italiano ad apportare radicali modifiche. Per questo il ddl non è stato discusso al consiglio dei ministri di ieri: i tecnici della premier – che sta seguendo in prima persona la vicenda, insieme al ministro Fitto – sono ancora al lavoro per adeguare il provvedimento alle osservazioni della commissione Ue, cercando di non scontentare troppo i balneari.
Su questa annosa vicenda, la strategia del governo è stata finora fallimentare. Per tutta l’estate scorsa palazzo Chigi ha lavorato a una mappatura del demanio marittimo, dichiarando che solo il 33% delle coste italiane è in concessione. L’idea era di convincere l’Ue che le spiagge italiane non fossero una risorsa scarsa e perciò non sarebbe stato necessario fare le gare sulle concessioni storiche. Ma Bruxelles ha bocciato la tesi, ritenendo che la mappatura dovesse essere qualitativa. Cioè distinguere le coste basse e sabbiose da quelle alte e rocciose. Le prime sono quasi tutte occupate, mentre sulle seconde è improbabile avviare nuove imprese, trattandosi spesso di zone irraggiungibili. L’esecutivo ha quindi cestinato il lavoro e ricominciato tutto da capo, elaborando un ddl che cercava di andare incontro ai balneari per altre strade. Ma anche l’ultima proposta è stata giudicata inadeguata dall’Ue.
Tutte le misure contestate giovedì dalla commissione riguardano i punti a favore degli attuali concessionari. La prima a crollare è stata la proroga: il ddl la proponeva da uno a 5 anni, a seconda della percentuale regionale di occupazione dei litorali, ma l’Ue si è opposta in modo categorico. La Corte di giustizia europea e il Consiglio di Stato hanno più volte dichiarato l’illegittimità di qualsiasi rinnovo automatico sulle concessioni balneari, perciò i titoli dovranno andare a gara prima dell’inizio della prossima stagione.
La legge Concorrenza di Draghi ha fissato la scadenza per il 31 dicembre 2023 e non sono ammessi più rinvii. Gli attuali gestori hanno continuato a operare quest’estate grazie a una «proroga tecnica» di un anno, prevista sempre da Draghi, ma questo regime straordinario era giustificato solo dalla necessità di concludere le procedure selettive. Il governo Meloni avrebbe già epurato dal testo la proroga di 1-5 anni, ma starebbe comunque trattando per guadagnare almeno un altro anno, fino al 31 dicembre 2025.
Il niet della commissione Ue è arrivato anche sui meccanismi di preferenza ai gestori uscenti in fase di gara. Il ddl del governo voleva imporre agli enti locali – che dovranno gestire i bandi – di assegnare un punteggio maggiore a chi ha già esperienza professionale nel settore e a chi, negli ultimi 5 anni, ha utilizzato una concessione balneare «quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare». Ma la direttiva Bolkestein prevede che i bandi garantiscano la totale parità di condizioni di partenza tra i concorrenti, pertanto anche questo aspetto è oggetto del negoziato tra Roma e Bruxelles.
Resta aperta pure la partita sugli indennizzi economici, che il ddl prevede di riconoscere ai concessionari uscenti, a carico dei subentranti. Anche tale proposta è vista da Bruxelles come un vantaggio improprio, ma su questo Meloni pare irremovibile: seppure le concessioni siano di demanio pubblico, si replica da Palazzo Chigi, le imprese che vi sorgono sopra sono private e hanno diritto a un indennizzo.
Le associazioni dei balneari lo ritengono un punto fermo e il governo le sta appoggiando. Se questo elemento rimarrà nella norma, sarà l’unico a favore degli attuali concessionari. Per motivare la cancellazione di tutti gli altri, nei confronti di una categoria che si aspettava di più da un partito che prometteva le concessioni per l’eternità, Palazzo Chigi potrà sempre incolpare l’Ue.
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