E’ ispirato al celebre affresco Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti il progetto di rigenerazione per la città di Tirana elaborato da Stefano Boeri che tra l’altro prevede anche la creazione di boschi intorno alla città con due milioni di alberi. Ed è proprio il dibattito su buono e cattivo governo ad essere sempre più attuale in città e non solo per i dubbi e le critiche che si riversano su quel progetto che non eviterebbe colate di cemento a iosa.

Ora che l’ex premier e presidente albanese Sali Berisha è stato mandato agli arresti domiciliari dal Tribunale speciale contro la corruzione e il crimine organizzato (GJKKO), rimane ancora più indebolita e quasi annullata l’opposizione parlamentare al potere di Edi Rama. E tuttavia il suo consenso popolare rischia di scemare non solo per la spinosa questione dell’accordo con Meloni sui centri per i migranti da creare in Albania, già sospeso dalla Corte Costituzionale albanese, ma per la strisciante svolta autocratica che, a detta di molti, sembra connotare la sua leadership.

Sul versante culturale si discute molto dello scioglimento del Ministero della Cultura e del trasferimento delle sue competenze al Ministero dell’Economia e non sembra sopito lo shock causato dall’abbattimento notturno del Teatro Nazionale Albanese con attori e maestranze che occupavano da mesi quello spazio, diventato ora simbolo di un vuoto incolmabile nella memoria collettiva e nella identità culturale del Paese.

Un manifesto della indignazione e della protesta collettiva l’aveva scritto in quei giorni la giornalista Elsa Demo in un appassionato articolo raccolto di recente in Te Teatri, bellissima antologia di recensioni sulla vita teatrale albanese.

Altrettanti dubbi e critiche si sono riversate sul recente restauro della Piramide, edificio di stile brutalista costruito per diventare il mausoleo del dittatore comunista Enver Hoxha, usato come base NATO durante la guerra del Kosovo, ora destinato a diventare hub tecnologico per start up e innovazione.

E tuttavia il racconto di Tirana e dell’Albania di oggi non può solo guardare ai cortocircuiti e alle manovre contromano della politica, perché proprio dentro la Piramide a metà dicembre si è tenuta la settima edizione del Balkan Film Market diventato il momento apicale di un lungo lavoro, avviato dal regista, produttore e docente Ilir Butka (scuole frequentate insieme a Edi Rama) il cui obiettivo era quello di creare in Albania il sistema dell’audiovisivo e del cinema nelle sue articolazioni produttive, promozionali e culturali, inventando il Tirana Film Festival, il Centro Nazionale del Cinema Albanese e il Tirana Film Office.

Insieme a Butka ci sono il regista Jonid Jorgji che ora dirige l’Agenzia dell’Industria Creativa, braccio operativo e creativo del Comune di Tirana e Andamion Murataj del quale si attende l’uscita del suo primo lungometraggio Man of the house. E come ogni Film Market che si rispetti anche quello di Tirana ha visto registi, attori, attrici, cineasti, piattaforme televisive, Film Commission e produttori albanesi incontrare e confrontarsi con produttori internazionali, «gli stessi che si incrociano a Venezia, Cannes, Berlino e che qui a Tirana sono arrivati numerosi, più di cento, provenienti da tutta Europa», dicono con orgoglio Jonid, Ilir e Andamion.

Il filo rosso che ha legato le cinque giornate di panel, workshop, discussioni e party è stato il tema delle coproduzioni, non solo negli aspetti economici e legislativi pure importanti ma soprattutto per le visioni culturali, i linguaggi artistici, le scelte di campo adottate.

Di grande interesse le sezioni Albascript dove giovani artisti come gli albanesi Sokol Keraj, Saimir Bajo con il ceko Tomáš Hruška (studente alla Famu dove ha realizzato il corto horror Inseminator, docente di sceneggiatura e regia nel progetto Cinema Libero); greci come Ines Perot, Alexandros Kostopoulos (il suo primo corto First Swimm è stato al festival di Trieste, ha diretto la performance The New Adventures of Antigones), Dimitris Kafidas (Spiros and the circle of the Death), macedoni come Eva Kamchevska, Ibër Deari (numerosi corti tra cui Everybdy Calls Redjo, Takimi), Tomislav Aleksov (numerose regie televisive) e kossovari come Fatlume Bunjaku (The Delegation, The albanian virgin), Jon Gojani e Rita Krasniqi, Endrit Garolli. Anita Morina, Hana Bucalija e Zqjim Baraliu alle prese con il loro primo film lavoravano insieme a mentor stranieri per sviluppare la propria sceneggiatura e Pitch Balkan dove venivano presentate in competizione le migliori idee di «Pitching», destinate a diventare coproduzioni balcaniche, albanesi ed europee.

Qui sono emerse sensibilità, narrazioni e approcci da parte di una generazione di sceneggiatori e registi che hanno ereditato storie e memorie delle guerre balcaniche e delle conseguenti migrazioni e i premi assegnati hanno rispecchiato queste tensioni e ispirazioni: da My happy family dove il regista turco Alkim Özmen riflette sul tema della felicità impossibile in una famiglia violenta con i sentimenti dell’amore e dell’abuso che collidono sino a Maliovanka, my village, dove il sentimento della nostalgia viene rivissuto dalla regista greca Romanna Lobach e da Andreas Vakalios attraverso i ricordi d’infanzia e del passato nel villaggio ucraino ovvero «il modo romantico con cui percepisco le vaste foreste, i viaggi in carrozza, i soviet, le discoteche con il pop russo degli anni ’70, le canzoni polifoniche attorno a un tavolo con la vodka, il mio rapporto con le persone, il rapporto con mia madre e con me stessa».

E poi Val Jashari, regista kossovara, cantante, sceneggiatrice che In a manner of speaking propone la storia di Zeka, criminale omicida in America rifugiato a Pristina, al quale arriva il mandato di estradizione proprio quando comincia una storia d’amore con Vlora, vicina di casa. Il film fa i conti con le logiche, i comportamenti, le aspirazioni e le ambizioni dei gruppi criminali nel Bronx improntate all’aiuto reciproco, all’onore e all’onorabilità. Quell’onore offeso e violato che in Albania fa rima con vendetta, senza differenza alcuna nel passaggio tra il regime comunista e quello «democratico», lo si trova nel plot di The consequences of the freedom di Lorin Terezi, premiato come miglior debutto. Oppure Our school di Toni Cahunek che racconta il sistema scolastico sloveno con gli studenti figli di emigranti kossovari discriminati dall’albanofobia imperante. Tutti temi e storie che mettono al centro il dialogo intergenerazionale, la convivenza multietnica, le frontiere e le discriminazioni in una fase cruciale di passaggio in cui i Balcani occidentali coltivano non senza contraddizioni il sogno europeo e il bisogno di credere e identificarsi nei valori e nelle peculiarità della propria nazione.

Il Balkan Film Market è stato inoltre occasione di incontro e di dialogo con le espressioni e le presenze più autorevoli del cinema contemporaneo albanese, come Roland Sejko, premiato con il Nastro d’Argento per il suo bellissimo docufilm La macchina delle immagini di Alfredo C. sulla storia dell’Albania vista con gli occhi dell’operatore di ripresa Alfredo Cecchetti, inviato lì da Mussolini e trattenuto come prigioniero dal regime comunista.

Sejko prosegue nel suo progetto di raccontare la memoria, la storia e le radici del suo Paese. E sulla lotta di potere tra Enver Roxha e i suoi aspiranti successori, Edmond Budina girerà il suo prossimo film mentre Gentian Koci e Blerina Hankollari con A cup of coffee and new shoes on si godono un po’ di successo internazionale partecipando ai festival di Tallin, Goteborg, Roma. È la storia di due fratelli gemelli sordomuti, scoprono dal medico che diventeranno ciechi, a causa di una malattia genetica rara. E il tempo delle emozioni e la grammatica dei sentimenti la materia che Gentian Koçi elabora, portandosi dietro gli studi su Michelangelo Antonioni e portando l’obiettivo oltre le superfici dei corpi per farci immergere in quella sfera iperreale, misteriosa, interiore, invisibile eppure presente, che chiamiamo anima, coscienza, vita e soprattutto amore.

«L’Albania -confermano Ilir, Jonid e Andamion- è parte di una regione, quella balcanica, ricca, diversificata, di forte attrattività seppure con forti limitazioni finanziarie ma in questo momento ha straordinarie ricchezze artistiche e un’energia positiva che sprizza da ogni parte».