«Questo è per la democrazia» aveva detto l’artigliere indicando Bakhmut dall’alto di una collina all’ingresso occidentale della città prima di sparare. Si era voltato sorridendo, rendendo tutta la situazione così teatrale da sembrare finta. Sensazione che era durata lo spazio di un «da vai» pronunciato dal caposquadra e si era trasformata in un sibilo assordante. Il graduato a terra non aveva fatto in tempo a indicarmi di tappare le orecchie e il tremendo boato aveva squarciato l’aria e anche i miei timpani.

IL GROSSO MILITARE seduto sul semovente britannico si confondeva con il verde del mezzo se non fosse per la barba bionda e per la macchia di colore rosso sul petto, la stessa che aveva tutta la squadra. Uno strap della bandiera georgiana, che alcuni militari portavano anche sul braccio sotto quella ucraina. Il gruppo d’assalto faceva parte della legione di georgiani che combatte in Ucraina al fianco delle forze di Kiev fin dall’inizio della guerra. Tra i 750 e i mille uomini secondo alcune stime, un intero battaglione. Se ne incontrano in diverse zone del Paese, ma quelli a Bakhmut erano stati particolarmente utili perché senza chiedere nulla avevano acconsentito a portarci in prima linea. L’addetto al semovente, lo stesso che aveva gridato prima di sparare, si era mostrato il più conviviale di tutti. Lo Stato maggiore ucraino non vuole che si facciano foto o video, per lui bastava che non riprendessi elementi che svelassero la posizione del reparto, per i permessi (sempre più difficili da ottenere con gli uffici stampa locali) aveva risposto che «bisognava vedere con i propri occhi cosa facevano gli orchi, che era importante che i giornalisti fossero lì».

Il suo entusiasmo, espresso da un corpo ursino e da uno sguardo bonario al limite dell’ingenuo, ispirava istintivamente simpatia. Il che di per sé non rende il suo ruolo meno distruttivo o più accettabile, si tratta comunque di un uomo che sta mirando ad altri uomini per ucciderne il più possibile. Gli altri, quelli presi di mira in quel momento, fanno altrettanto. È la guerra. Finché un giorno, come ieri, un drone o un satellite non individua la postazione dove le unità rientrano con i mezzi per mangiare riposare o effettuare le rotazioni dei turni. In quel giorno, se sei dentro, sei morto. Com’è capitato al grosso georgiano e a molti suoi connazionali, 60 secondo fonti russe, che ieri si trovavano alle porte di Bakhmut.

DA MESI IN DONBASS manovre come quella effettuata dai giordani si verificano quotidianamente. Per gli ucraini lo spazio agibile si riduce sempre più, domenica le forze di Mosca sono probabilmente riuscite a occupare nuovi territori nei quartieri occidentali della città. Ma la conformazione del terreno fa sì che l’esercito di Kiev possa ancora rispondere al fuoco dato che la parte ovest di Bakhmut è molto più in alto dell’altra. Anche per questo i russi stanno faticando così tanto ad avanzare con la fanteria. Ieri Prigozhin, il capo della compagnia di mercenari Wagner ha detto che d’ora in poi «non si faranno più prigionieri». Poco dopo si è detto convinto che gli ucraini attendono la caduta di Bakhmut per iniziare la controffensiva, «per ora stanno aspettando che il fango si asciughi e i mezzi corazzati possano ricominciare a muoversi», ha aggiunto, «e inoltre Zelensky vuole rovinarci le celebrazioni del 9 maggio» perciò, «il nostro compito è macellare l’esercito ucraino, non dare loro l’opportunità di riunirsi per una controffensiva subito».

A proposito di controffensiva, nel fine settimana i media occidentali hanno ripreso alcune analisi secondo le quali le forze di Kiev avrebbero già iniziato le operazioni di avanzata. Per ora si tratta solo della sponda est del fiume Dnipro, nei pressi di Kherson, dove nelle ultime settimane gli ucraini sarebbero riusciti a creare un corridoio per trasportare truppe e mezzi dalla sponda che attualmente controllano. Tuttavia, è decisamente presto per parlare di una controffensiva nel senso proprio del termine, le sortite ucraine assomigliano più a delle manovre esplorative per sondare il terreno e scovare eventuali faglie nelle difese russe.

PROPRIO COME I DRONI marini di Kiev hanno tentato di fare a Sebastopoli, stavolta senza successo. Le difese russe della sede della flotta del Mar Nero, infatti, sono riuscite a intercettare i natanti e a farli esplodere prima di arrivare a segno. Il che è indicativo del fatto che Kiev sta esplorando nuovi tipi di azioni militari, allargando il campo delle operazioni al mare e, come si è visto a Mosca, ai cieli. Nella capitale ieri è stato chiuso l’aeroporto di Vnukovo a causa del rischio che un drone fosse in avvicinamento. Il giorno precedente, secondo fonti russe, un altro drone (un Uj-22 Airborn di fabbricazione ucraina) che trasportava 17 kg di esplosivo è precipitato alla periferia di Mosca, forse a causa dell’esaurimento del carburante.