Non si è ancora del tutto chiusa la delicata partita dell’Azovstal. Mosca comunica che sono circa un migliaio i soldati ucraini che si sono arresi e che ora si trovano agli arresti nelle zone sotto il controllo delle forze russe. Nuove immagini diffuse dal ministero della Difesa mostrano alcuni dei feriti in una corsia di ospedale, uno di loro assicura di non aver subito abusi fisici o psicologici. Ma secondo il leader separatista Denis Pushilin, citato dai media dell’autoproclamata Repubblica popolare del Donetsk, i comandanti del battaglione Azov non si sono ancora arresi: «Non ci sono ufficiali tra coloro che sono usciti».

LA PORTAVOCE del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ne approfitta comunque – in un’intervista alla radio di stato Sputnik – per enfatizzare quella che sembra una prima vera crepa nell’incondizionato consenso interno di cui ha goduto fin qui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, sostenendo che i soldati assediati siano stati «usati come strumento per ricattare i paesi europei», prima di venire «traditi» dal governo di Kiev ed essere abbandonati al loro destino.

A proposito invece di crepe nell’altrettanto granitico versante russo, dopo le esternazioni dell’analista militare ed ex colonnello Mikhail Khodarenok, che in prima serata tv aveva ammesso l’isolamento del Paese e previsto che la situazione «andrà sempre peggio», ieri al Cremlino hanno temuto il bis quando a parlare delle «difficoltà» che incontra l’«operazione speciale» in Ucraina è stato Rashid Nurgaliyev, vicesegretario del Consiglio di sicurezza, organo presieduto dallo stesso Putin. Nurgaliyev si è poi salvato in corner, dicendosi sicuro del successo finale e della definitiva “de-nazificazione” dell’Ucraina.

Ma in Russia un certo malcontento cresce anche sui social, per l’epilogo dell’assedio ai “nazisti” intrappolati nell’acciaieria, giudicato troppo “soft”. Malgrado il niet della Duma allo scambio di prigionieri sia stato perentorio: i membri dellAzov sono prede troppo pregiate per essere rilasciate senza colpo ferire, si tratta di «criminali di guerra» e come tali vanno processati.

IL PRIMO PROCEDIMENTO giudiziario per “crimini di guerra” in realtà si è aperto a Kiev. Alla sbarra per aver ucciso a sangue freddo un civile ucraino di 62 anni, il soldato russo Vadim Shishimarin, 21 anni, che di fronte alla corte e alla moglie della vittima ieri si è dichiarato colpevole. Oggi è prevista una nuova udienza.

Ieri è stato anche giorno di espulsioni diplomatiche, in Russia: 34 francesi, 27 spagnoli e 24 italiani – tutti dipendenti delle rispettive ambasciate – sono stati dichiarati «persona non grata» e dovranno lasciare il Paese. Misure in qualche modo attese, simmetriche alle espulsioni di diplomatici russi che erano seguite all’invasione. Anne-Claire Legendre, portavoce del ministero degli Esteri di Parigi ha parlato comunque di mossa «senza fondamento». E anche Mario Draghi ha definito quello di Mosca un «atto ostile». Sia Parigi che Roma esprimono comunque la volontà di «mantenere aperti i canali di comunicazione per arrivare a un cessate il fuoco».

ALDILÀ DEI BILANCI BELLICI, con le perdite umane e materiali inflitte al nemico che sono state quantificate e diffuse da entrambe le parti, ieri le Nazioni unite hanno confermato 3.752 civili ucraini uccisi dall’inizio della guerra, vittime in massima parte dell’artiglieria pesante e dei raid missilistici russi.

Un esempio dei gravi problemi che sta creando il blocco del porto di Odessa e di conseguenza delle esportazioni del grano ucraino arriva intanto dall’Egitto, uno dei paesi più dipendenti in tal senso. Un carico di 300 mila tonnellate che doveva essere consegnato al Cairo tra febbraio e marzo non è mai partito.

CONTINUA COSTANTE invece il flusso in entrata di armi occidentali verso l’Ucraina. Anche come partita di giro. Armi pesanti di epoca sovietica, che i gli ucraini possono usare senza addestramenti, sono in arrivo dalla Repubblica Ceca. La Germania conferma che in cambio fornirà a Praga tank più moderni. La Polonia invece annuncia un reclutamento straordinario di volontari per far fronte ai pericoli frontalieri a cui il paese si sente esposto.

Infine Israele manderà 2000 caschi e 500 giubbetti destinati alle organizzazioni di soccorso ucraine. Sembra niente, ma racconta di come l’atteggiamento di Tel Aviv sia cambiato dopo il delirio “hitleriano” di Lavrov e malgrado le scuse ufficiali di Putin.