La guerra, 71esima replica, è andata avanti ieri con i suoi costi umani e materiali sostenuta dal solito coro sgraziato di accuse, annunci e smentite su tutti i fronti, da quello interno a quello internazionale. Dall’acciaieria di Azovstal a Mariupol lentissimamente e tra mille difficoltà i bus dell’Onu hanno cominciato a evacuare i civili. Dei 200 stimati ancora in trappola ieri ne sono stati trasferiti a più riprese in tutto una cinquantina, compresi alcuni bambini, a Bezimenne.

LE AUTORITÀ UCRAINE ACCUSANO le forze russe di non rispettare il cessate il fuoco nella zona. I comandi russi negano. Kiev ha chiesto anche a Medici senza frontiere una missione ad hoc per i combattenti feriti all’interno, dal momento che l’ospedale da campo installato nei rifugi è stato messo fuori uso dai bombardamenti russi dei giorni precedenti. I russi negano sempre.

In sottofondo ma non troppo anche la dialettica vero-falso alimentata dagli Stati uniti al loro inerno. Smentito il contributo attivo all’eliminazione dei generali russi, come da rivelazione del NYT, il Pentagono con il portavoce John Kirby nega anche le responsabilità nell’affondamento della Movska, lo scorso 13 aprile, di cui dava conto invece Cnn. Pur confermando che Washington fornisce gli strumenti e l’Ucraina decide come e contro cosa puntarli. Questo mentre un altro pezzo pregiato della flotta russa bruciava di fronte a Odessa. E il Dipartimento alla Difesa annunciava l’invio «supplementare» dei droni Switchblade grazie ai 17,8 milioni di dollari aggiunti dal Congresso Usa in marzo. E non è che l’inizio.

COMUNQUE VADA, I PROSSIMI saranno giorni di marcatura di un territorio altamente simbolico e altrettanto infiammabile. Una data sdoppiata all’epoca solo dal fuso orario. L’8 maggio, domani, verrà celebrato dai leader del G7 – starring Joe Biden e il presidente ucraino Zelensky – sotto la presidenza del cancelliere Olaf Scholtz da Berlino, dove nel 1945 ebbe fisicamente luogo la firma della resa. Stavolta «i leader discuteranno degli ultimi sviluppi della guerra», fa sapere la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Adrienne Watson, consapevole di non regalare proprio uno scoop.

Il 9 maggio di Kiev invece sarà senza coprifuoco, solo pattugliamenti rafforzati, rende noto il sindaco Vitaliy Klitschko. E zero celebrazioni pubbliche. «Vi ricordo che gli eventi di massa sono vietati dalla legge marziale» ha aggiunto il primo cittadino.

Il governo ucraino insiste sulla possibilità che Putin usi le celebrazioni del 9 maggio per dare il “la” a qualcosa di più, qualcosa di «grandioso» come dice il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba.

PER UNA GIORNATA SPECIALE anche il presidente Volodymyr Zelensky ha pensato a qualcosa di speciale. Ieri è intervenuto al think thank londinese della Chatham House non solo per dire che «Mariupol è un esempio di tortura e fame usate come arma di guerra». Zelensky ha voluto lanciare un’amichevole sfida al cancelliere Scholz, per risanare dal suo punto di vista lo strappo della visita saltata di Scholz e quella impedita del presidente della Repubblica Steinmeier, le tensioni con la Germania che tentennava su armi e sanzioni.

Alcuni ripensamenti e molti armamenti dopo – la ministra della Difesa tedesca Christine Lambrecht ieri ha annunciato la consegna di ulteriori 7 obici semoventi all’Ucraina, previo addestramento all’uso in territorio tedesco – c’è un invito ufficiale e non è per un giorno qualsiasi. Il presidente ucraino offre a Scholz l’opportunità di fare sempre dal suo punto di vista «un passo potente», recandosi nella capitale oggi minacciata da Mosca proprio il 9 maggio. «Non sto a spiegare il significato che avrebbe – ha detto -, credo abbiate sufficiente cultura per comprenderlo da soli».

LA CRIMEA POI APPARE e scompare dal meta-negoziato che le parti conducono a molta distanza: per Zelensky un giorno è parte irrinunciabile dell’Ucraina, un giorno se ne può parlare. Ieri – lo ha fatto capire anche alla Bbc – è sembrato dire ok, riportiamo le lancette a prima del 24 febbraio, la Russia si ritiri e poi si può trattare la pace. Il che viene interpretato come disponibilità a raggiungere un accordo lasciando fuori il nodo Crimea. Che già negli pseudo- negoziati condotti dalle due delegazioni tra Bielorussia e Turchia sembrava destinato a essere stornato in un tavolo a parte, della comoda durata di un decennio o giù di lì.

Rischia di passare del tempo anche prima che l’Europa superi il vento gelido che soffia da est sul nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca in discussione. Per Viktor Orbán la vera «bomba atomica» sarebbe la rinuncia al petrolio russo. Spezzare l’”Amicizia” (Druzhba), la rete di oleodotti che dai tempi del patto di Varsavia pompano forniture essenziali per paesi come Ungheria e Slovacchia privi di sbocchi al mare, proprio non si può.