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Aziende sanitarie locali, le vie dell’antipolitica sono infinite

ospedale, foto Ansafoto Ansa – foto Ansa

Commenti Il nodo « partecipazione»: come coinvolgere davvero i cittadini? Il senatore Crisanti propone meccanismi di nomina che non risolverebbero il problema. Il vero coinvolgimento sta non nel rifiuto a priori delle responsabilità politica, ma nella valorizzazione delle esperienze diffuse nella società, non solo nel settore sanitario

Pubblicato più di un anno faEdizione del 6 luglio 2023

Le vie dell’antipolitica sono davvero infinite, anche quando lastricate dalle migliori intenzioni, se anche una persona stimabile e stimata come il senatore Crisanti (si veda la sua intervista al manifesto del 25 giugno) sembra vittima di un facile gioco polemico, che rischia di sviare l’attenzione dai veri problemi della sanità italiana, che non occorre qui richiamare. Crisanti si è fatto promotore di una petizione, a sostegno di un suo disegno di legge, per modificare le procedure di nomina dei direttori generali del Aziende sanitarie.

Il Ddl prevede che tali nomine siano effettuate da una Commissione istituita dall’Anac (L’Autorità anticorruzione) e composta da rappresentanti dei medici, degli operatori sanitari, da un rappresentante delle associazioni dei pazienti e da uno indicato dal Sindaco in cui ha sede l’Azienda. Crisanti giustifica questa sua proposta con il consueto richiamo all’invadenza della politica, ma anche – e questo è un aspetto singolare – alla necessità della «partecipazione».

Nel merito va detto che le norme attuali prevedono già rigorosi criteri per la selezione dei Direttori: un particolare curriculum, precedenti esperienze dirigenziali di almeno un quinquennio, una formazione specifica presso alcune istituzioni accademiche di alto livello.

Tali requisiti sono esaminati da una commissione nazionale che, attraverso una procedura di valutazione, definisce un apposito Albo presso il Ministero della Salute. La Regione, tramite il “legale rappresentante”, cioè il Presidente, sceglie da tale elenco (dopo aver acquisito, per le Aziende Ospedaliere Universitarie, il parere favorevole del Rettore) il professionista a cui affidare la direzione dell’Azienda sanitaria.

Senza dubbio, la storia delle nomine, in questo campo, presenta non pochi casi di scelte dettate da logiche di potere, o anche peggio: e non sempre le Regioni si sono rivelate in grado di dare obiettivi precisi ai propri amministratori.

Ma siamo certi che una Commissione quale quella ipotizzata da Crisanti sia la soluzione? Ritiene forse che una siffatta Commissione, composta da medici, operatori sanitari, rappresentanti delle associazioni dei pazienti nonché delle istituzioni territoriali (un sindaco di un capoluogo di Regione parteciperà direttamente o tramite delegato di fiducia alla nomina di numerosi Direttori della Asl, delle diverse Aziende ospedaliere e Policlinici universitari!), possa essere miracolosamente immune da poco limpide reti di relazioni politiche e professionali? E dovrebbe essere poi il Ministro a provvedere al decreto di nomina? Davvero, per questa via, la politica potrebbe essere buttata «fuori dagli ospedali»? Non crediamo proprio.

Questa procedura potrebbe avere ancora una qualche giustificazione se la sanità nel nostro Paese fosse materia riservata al Governo nazionale; ma, com’è ben noto, non è certo ciò che prevede, in questo momento, il nostro assetto istituzionale (e gli orientamenti per il futuro, con le richieste di Autonomia differenziata, si muovono – purtroppo – in tutt’altro senso).

Spetta dunque alla Regione e alle sue decisioni politiche la responsabilità di scegliere le persone a cui affidare, in base a un rapporto fiduciario, la Direzione delle sue aziende. Persone che abbiano una qualificazione certificata, ma che non possono non condividere le strategie e le “politiche sanitarie” dell’ente a cui rispondono. É bene che si metta un punto fermo e che si facciano le dovute distinzioni, di fronte ad un confuso intreccio tra «politica» e «tecnici», laddove la prima tende a scaricare e a offuscare le proprie responsabilità, e i secondi si fanno scudo del deficit di orientamento e di programmazione di cui la politica è preda.

Crisanti sostiene che alla politica dovrebbe essere riservato solo un ruolo di controllo: ma le scelte di politica sanitaria sono eminentemente politiche, non possono essere derubricate a mera «tecnica».

Appare poi fuorviante l’idea che la «partecipazione» possa essere assicurata coinvolgendo i «cittadini» nella nomina di incarichi gestionali (ma poi, in che modo? Siamo certi che non ne nascano altre distorsioni?). Altri sono i terreni su cui questa partecipazione potrebbe e dovrebbe pienamente esprimersi: coinvolgendo opportunamente la cittadinanza nelle scelte di programmazione, in particolare della sanità territoriale, valorizzando conoscenze e esperienze diffuse che possono contribuire ad una migliore definizione delle politiche.

Certo, la «politica» versa in cattive acque. Ma proposte come quella avanzata da Crisanti si illudono di poter aggirare il problema e non darebbero alcun reale contributo alla sua soluzione, che deve essere cercata, innanzi tutto, lungo la via, impervia ma ineludibile, di una politica democratica che torni a «render conto» delle sue scelte ai cittadini.

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