Sanità, la proposta di Andrea Crisanti: «Sganciare le nomine dal potere politico»
Intervista Intervista al senatore dem e ricercatore che ha deciso di dar vita a un'iniziativa dal basso, chiedendo l'appoggio dei cittadini alla sua proposta di separare la gestione sanitaria dalla politica
Intervista Intervista al senatore dem e ricercatore che ha deciso di dar vita a un'iniziativa dal basso, chiedendo l'appoggio dei cittadini alla sua proposta di separare la gestione sanitaria dalla politica
Con la maggioranza di destra le proposte dell’opposizione hanno la strada in salita. Perciò il senatore dem e ricercatore Andrea Crisanti ha deciso di accompagnare le sue con un’iniziativa dal basso, chiedendo sostegno direttamente ai cittadini. Su change.org in oltre centomila hanno firmato la proposta di separare la gestione sanitaria dalla politica. «Ma intorno alle mie iniziative voglio coinvolgere tutto il Partito Democratico», spiega il senatore. «I nodi che vedo sono tre: la gestione delle Asl, la sanità territoriale e lo squilibrio tra pubblico e privato. Senza proposte di riforma, non basta chiedere più soldi: finirebbero in buona parte ai privati.
È la diagnosi di un sistema malato?
Decine di aziende sanitarie sono commissariate, otto miliardi di debito sanitario finiranno nel bilancio dello Stato, liste d’attesa interminabili e pronto soccorso ingolfati. Si allunga il tempo che passa tra sintomi, diagnosi e inizio delle terapie. L’aspettativa di vita non è tornata ai livelli precedenti il Covid, e in più è diversa da nord a sud e per livello di reddito: oggi i cittadini spendono quaranta miliardi di euro di tasca propria per curarsi. Partiamo dunque dalla testa: è la gestione che è malata.
E la terapia?
I presidenti di regione oggi hanno sia il potere di nomina che di controllo. Ma ogni organizzazione in cui controllore e controllato si identificano è destinata al fallimento. La mia proposta è un disegno di legge per rendere indipendenti i direttori generali, amministrativi e sanitari delle Asl. La nomina dei dirigenti va affidata a una commissione indipendente in cui siano rappresentati gli operatori sanitari, i cittadini e i pazienti. Quando nacque il Servizio sanitario nazionale la partecipazione doveva esserne uno dei pilastri. La politica non va esclusa: conserverebbe il ruolo di controllo.
Passiamo allo squilibrio tra pubblico e privato: c’è una cura?
Il settore privato in sanità vale più del pubblico. Dei 120 miliardi di finanziamento pubblico circa 50 miliardi vanno alla sanità privata convenzionata. Aggiungendo i 40 miliardi di spesa sanitaria a carico dei cittadini fanno 90 miliardi. Contesto che la sanità privata convenzionata sia pari a quella pubblica. La sanità convenzionata è una sanguisuga: scarica sul servizio pubblico i costi dei pronto soccorso, delle terapie intensive e delle neonatologie che i privati preferiscono non svolgere perché scelgono le prestazioni più remunerative. Ma se in una clinica privata sorge un problema durante un parto la paziente viene trasferita in un ospedale pubblico, su cui ricade il costo. Perciò, bisogna imporre a tutti gli ospedali che non hanno questi reparti di sostenerne le spese. Presenteremo un disegno di legge che obblighi lo Stato a comprare dalla sanità convenzionata le stesse prestazioni che fanno gli ospedali pubblici. Se un privato apre un ospedale senza pronto soccorso dovrà pagare per il servizio che fa svolgere alla sanità pubblica.
Per rilanciare la sanità territoriale il Pnrr prevede 1.300 Case di comunità. Basteranno?
Rischiano di rimanere scatole vuote perché i medici di base che dovrebbero lavorarci sono pochi e poco qualificati: oggi si formano con un corso regionale. Perciò, se anche tanti andassero a lavorare nelle case di comunità, l’unico risultato sarebbe l’allungamento degli orari di apertura. Utile, ma non aumenta la tempestività delle cure né la capacità di filtro per i pronto soccorsi perché i professionisti non avrebbero le conoscenze necessarie. La mia proposta è una nuova specializzazione in medicina generale e di comunità quadriennale che oltre ai tre anni di medicina generale ne preveda uno di medicina specialistica. Se iniziamo subito, fra quattro anni avremmo i medici pronti da inserire nelle case di comunità. Si possono creare due canali: uno per gli attuali medici liberi professionisti e un altro, pubblico, per le case di comunità. Saranno i cittadini a scegliere a chi rivolgersi.
Però tanti medici preferiscono specializzarsi in chirurgia plastica e non da rianimatore o da medico di emergenza. Come convincerli a scegliere le specializzazioni che ci servono davvero?
Aumentando la retribuzione di questi professionisti. Ma non credo che si scelga la medicina solo per i soldi. Oggi lavorare nella medicina d’urgenza è più faticoso, è vero. Ma se la sanità territoriale diventasse un filtro efficace, anche in pronto soccorso si lavorerebbe meglio.
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