Avventure di formazione a New York con fantasmi: torna l’esordio di Valeria Luiselli
Scrittrici messicane «Volti nella folla», riedito da La nuova frontiera
Fin dai suoi esordi, la messicana Valeria Luiselli, trapiantata negli Stati Uniti, ha reso materia letteraria la sua biografia «ibrida» e cosmopolita. Avvantaggiata da un discreto senso di estraneità, attenta a vigilare sulla sua immagine di «messicana a New York», si è tenuta lontana da quell’esotismo corteggiato dall’industria culturale, che nel corso degli ultimi decenni ha speculato sulla produzione di autori, soprattutto in lingua inglese, in grado di esibire un remunerativo background terzomondista, spesso limitato a sterili riferimenti culturali già addomesticati e pronti per essere digeriti dal lettore newyorkese.
Alla luce dei successivi lavori della scrittrice messicana, il cui ultimo romanzo, Archivio dei bambini perduti, è stato scritto direttamente in un inglese che non rinuncia al suo consueto incedere digressivo, risalta forse ancor più chiaramente la coerenza dei riferimenti seminati nel primo romanzo, Volti nella folla, già edito in Italia dalla Nuova Frontiera nel 2012 e ora riproposto nella stessa traduzione di Elisa Tramontin (pp. 182, € 16,90).
Fra queste pagine, la questione identitaria è affidata alla figura di Gilberto Owen, il poeta di El Rosario che finì i suoi giorni in America, emarginato e devastato dalla cirrosi epatica. Presentato dalla voce narrante di Volti nella folla, sin dalle prime battute, come una sorta di spirito augurale, il disturbante «fantasma di Owen» si impossessa via via delle pagine. E si sostituisce, così, quasi del tutto, al racconto in cui la giovane donna protagonista riferiva del suo ménage famigliare, esponendo il suo tentativo di scrivere un romanzo-memoir circa i suoi trascorsi di gioventù a New York.
Il lettore – non diversamente dal marito della donna, che sbircia di tanto in tanto il dattiloscritto – si trova così a seguire il farsi di un romanzo nel romanzo, già di per sé gustoso: giovane émigrée, naturalmente messicana, (aggettivo, che insieme al sostantivo «Messico», e alla rara occorrenza «messicanello», ricorre trentasei volte all’interno del breve testo) vive a New York gli esordi della sua avventura intellettuale, insieme a qualche svagato episodio «di formazione» (incluso il tentativo maldestro di plagiare un autografo di Owen per fingere una miracolosa quanto improbabile trouvaille che incuriosisca l’editore per il quale la ragazza lavora).
Già incline a interrompersi per uscire dal passato e indugiare sul presente – il marito se ne va di casa, i bambini crescono – la voce narrante viene infine relegata a uno spazio minimo dall’irruzione della stentorea voce di Owen, il quale, aggirandosi negli Stati Uniti degli anni Quaranta, racconta il suo progressivo quanto misterioso alleggerimento corporeo, con qualche eco allegorica sul rapporto tra scrittura e racconto del sé, tra persona e personaggio, tra viaggio e costruzione della propria identità, fino a approdare a una non indolore perdita di consistenza.
Le tre storie – quella di Owen, quella della giovane a New York, e quella della madre in Messico – si intrecciano in un crescendo di echi letterari più o meno esplicitati, assecondando quella attitudine ludica che Luiselli renderà meno sfrontata nelle opere successive, senza mai rinunciarvi del tutto; e che è anche rintracciabile nello spazio narrativo, indipendente e decisivo, da sempre riservato dall’autrice alla voce dei bambini: nelle pagine di Volti nella folla e in quelle dei libri successivi.
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