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Auto fossili, il «rinviare a campare» non servirà al clima

Auto fossili, il «rinviare a campare» non servirà al clima

Clima La lobby in seno al governo tedesco guidata dai liberali e la (solita) spinta di retroguardia di quello italiano hanno contribuito al rinvio della messa al bando della vendita di auto a combustione interna dal 2035

Pubblicato più di un anno faEdizione del 4 marzo 2023

Le pressioni di parte dell’industria automobilistica hanno fatto slittare la decisione europea sulla messa al bando della vendita di auto a combustione interna dal 2035. La lobby in seno al governo tedesco guidata dai liberali e la (solita) spinta di retroguardia di quello italiano, hanno contribuito al rinvio.

La motivazione pseudo-ambientalista utilizzata è quella di includere nelle politiche europee le benzine sintetiche da idrogeno verde che, in teoria, potranno rendere a emissioni zero anche la auto con il motore a scoppio. Così come i “biocarburanti sostenibili” così tanto spinti anche da Eni: è la “neutralità tecnologica”, bellezza.

Si tratta, invece, di cattiva politica energetica, spinta dai settori in ritardo sull’auto elettrica, e vediamo il perché.
È tecnologicamente possibile produrre benzine di sintesi a partire da idrogeno che, se prodotto con elettricità rinnovabile, consentirebbe benzine a emissioni di gas serra nulle (ma, purtroppo, con emissioni di inquinanti come gli ossidi d’azoto, nocivi alla salute). Si tratta di un processo industriale noto (ma ancora costoso) su cui ci sono già progetti e impianti dimostrativi, ma è ancora ben lontano dalla realtà industriale. Se ne discute, e da tempo, come possibile via per decarbonizzare i settori più difficili, come ad esempio il trasporto aereo su lunga distanza. Utilizzare i (futuribili) carburanti di sintesi nelle auto a combustione interna, invece, in alternativa all’uso diretto dell’elettricità, anche quando disponibili non è una grande idea.

Infatti, a parità di chilometri percorsi, un’auto a combustione interna che usi benzina di sintesi da idrogeno (verde) richiederebbe oltre il triplo di elettricità primaria, rispetto all’auto elettrica.

Ma invocare l’avvento futuro di questi carburanti è usato per mettere in discussione una svolta sulla quale alcuni produttori sono in ritardo più o meno grave. Le aziende che hanno già da tempo fatto questa scelta, abbandonare in prospettiva la produzione di auto a combustione interna, dicono chiaramente che l’uso dei carburanti di sintesi è troppo inefficiente.

Il problema di base è che il motore a scoppio – quello a benzina o il diesel – ha un’efficienza molto bassa. Che viene ulteriormente ridotta dal sistema di distribuzione che porta il movimento dei pistoni alle ruote. Così, per 100 unità di energia che sotto forma di benzina (fossile o di sintesi da idrogeno verde, o biocarburanti) che mettiamo nel serbatoio, l’energia utile alle ruote è inferiore al 20 per cento. Per questa ragione l’auto a combustione interna è stata giustamente definita “una stufa che si muove”, dato che la gran parte dell’energia consumata se ne va in calore. È la termodinamica, bellezza. Per i biocarburanti, quelli prodotti da scarti organici e non in competizione con la produzione di cibo, oltre alla questione della bassa efficienza, rimane da dimostrare la possibilità di produrre le quantità richieste dal mercato.

In un’auto elettrica, invece, per 100 unità di elettricità caricata nelle batterie, alle ruote l’energia utile è oltre il 70 per cento: alta efficienza del motore elettrico e assenza del sistema di distribuzione.

È grave che tutto il processo politico in questione venga compromesso alla vigilia della sua approvazione, che viene addirittura posticipata, che è solitamente una formalità perché segue a mesi di trattative fra i Paesi e le istituzioni europee.

Va ricordato anche che, nelle votazioni precedenti, anche il governo Meloni si era espresso favorevolmente sul phase-out delle auto a combustione interna al 2035, e questo improvviso cambio di rotta rischia di avere ripercussioni negative non solo sul raggiungimento degli obiettivi climatici da parte dell’Europa, ma anche sulla sua economia e competitività. Ed è assurdo che i ministri del governo italiano celebrino questo posticipo come una vittoria: in questo modo stanno mettendo in pericolo la transizione del settore automotive e lo sviluppo di quelle soluzioni di mobilità essenziali per ridurre le emissioni di gas serra ed evitare la catastrofe climatica.

* Greenpeace Italia

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