Attanasio, la verità di Kinshasa e quella dei ribelli ruandesi
La sua Africa Il gruppo accusato dal governo congolese nega e contrattacca. Silenzio dalla Monusco. In Italia è il triste giorno del rientro delle salme
La sua Africa Il gruppo accusato dal governo congolese nega e contrattacca. Silenzio dalla Monusco. In Italia è il triste giorno del rientro delle salme
Il giorno dopo l’agguato nel nord-est della Repubblica democratica del Congo in cui hanno perso la vita l’ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci, insieme al loro autista Mustapha Milambo, il ricordo di chi conosceva le vittime, le bandiere a mezz’asta, lo stringersi intorno alle famiglie ha fatto da preludio dolente al rientro in serata delle salme, con un volo di stato, all’aeroporto di Ciampino.
A KINSHASA l’ufficio della presidenza ha diffuso ieri una prima ricostruzione di quanto accaduto sulla RN2 nei pressi di Goma. Gli aggressori «erano in 6, armati con 5 Kalashnikov e un machete». Avrebbero freddato quasi subito l’autista, mentre su Attanasio e Iacovacci avrebbero sparato a bruciapelo successivamente, quando erano già lontani dalla strada, durante l’intervento delle guardie forestali e di un’unità dell’esercito che «si è mobilitata per inseguire il nemico». L’inchiesta per catturare i colpevoli «è già in corso», vi faremo sapere.
Niente sul resto, neanche l’identità delle tre persone – dipendenti locali del Programma alimentare mondiale (Pam) – che viaggiavano sul piccolo convoglio e che erano date per scomparse insieme ai rapitori.
Solo in serata l’organismo umanitario dell’Onu rivelava che si trattava dell’«assistente del Pam per i progetti di mense scolastiche Fidele Zabandora, il responsabile della sicurezza del Pam Mansour Rwagaza e il secondo autista del convoglio Claude Mukata». E che erano tutti sani e salvi. Come d’altro canto Rocco Leone, l’altro italiano uscito illeso dalla vicenda, che viaggiava sulla seconda auto e che del Pam in Congo è il vicedirettore. In questa frammentazione caotica e contraddittoria di elementi il team investigativo dei Ros che è già al lavoro sul terreno deve contare molto sul suo racconto per ricostruire almeno i fatti.
SECONDO ALCUNI TESTIMONI gli uomini armati parlavano kinyarwanda, un dettaglio a sostegno della tesi del governo, che poche ore dopo l’attacco accusava senza esitazioni le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr). Nati in territorio congolese come ultima frontiera del cosiddetto hutu power, che del genocidio ruandese è stato un motore, già attivi nella Seconda guerra del Congo e oltre, i “ribelli ruandesi” hanno replicato ieri con un comunicato ufficiale degno del più moderato dei governi, in cui si condanna fermamente l’«ignobile gesto» e si esprime vicinanza all’Italia e alle famiglie delle vittime. Già che ci sono, oltre a declinare ogni implicazione e a invocare l’accertamento della verità da parte dell’Onu, i ribelli fanno notare come il convoglio dell’ambasciatore sia stato attaccato «nella zona detta delle ‘Tre Antenne’, sulla frontiera con il Ruanda, non lontano da una postazione delle Forze armate della Repubblica democratica del Congo e delle Forze di difesa ruandesi: le responsabilità vanno cercate nei ranghi di questi due eserciti».
SIA COME SIA – LE IPOTESI plausibili al momento non escludono la matrice di altri gruppi tra i troppi che infestano la zona, un’intricata genealogia di formazioni vicine e lontane ai miliziani hutu – l’occasione era a suo modo ghiotta per denunciare il recente patto tra Kinshasa e Kigali, una forza congiunta (un’altra) creata allo scopo di eradicare l’Fdlr, che qui ha la sua roccaforte anche per la tolleranza di cui ha goduto durante il regno di Joseph Kabila (2001-2018) nell’ex Congo belga.
Il vecchio capo di stato, sopravvissuto anche alla sconfitta elettorale, proprio in questi giorni è dato in viaggio negli Emirati arabi uniti. Ufficialmente per rispondere a un vecchio invito, ma c’è chi non esita a collegare l’ospitalità emiratina con la situazione politica che sta maturando a Kinshasa: l’attuale presidente Felix Tshisekedi prova a svincolarsi dall’abbraccio di Kabila che finora gli è stato indispensabile per governare, rifondando a suo vantaggio la maggioranza. E qualche giudice potrebbe presto presentare il conto di presunti illeciti finanziari all’ex presidente.
TSHISEKEDI IERI ha annunciato l’invio di un suo rappresentante a Roma per consegnare una lettera a Draghi e una visita “tradizionale” alla moglie di Attanasio, Zakia Seddiki. Un bel grattacapo alla vigilia del suo viaggio ad Addis Abeba per assumere, questo sabato, la presidenza di turno dell’Unione africana.
Niente infine trapela dai vertici della Monusco, la missione Onu nel paese, nessuna motivazione supplementare sulla mancata protezione dei due fuoristrada bianchi del World Food Programme, lunedì mattina. «La strada era stata classificata come sicura». Anche il Dipartimento per la sicurezza e la protezione delle Nazioni unite (Undss) aprirà un’indagine.
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