Alla fine è successo: anche Odessa è stata attaccata. Questa volta non si tratta di un fraintendimento o di un’esagerazione dei media. La “perla del Mar Nero” è stata colpita alle 6 circa di domenica mattina da diversi missili balistici (almeno sei) lanciati dalla Crimea o dalle navi russe di stanza nei pressi della base di Sebastopoli.

Le finestre del centro hanno vibrato violentemente e in molti si sono precipitati al davanzale per capire cosa stesse succedendo. Il cielo incerto dell’aurora era segnato da una nuvola nera con al centro la porpora viva degli incendi. Tra i primi a uscire in strada ci sono stati i giornalisti.

Questa volta non è stato difficile identificare il sito colpito perché a fare da guida c’erano delle colonne di fumo nero alte e dense e i mezzi di soccorso dei pompieri che sfrecciavano tutti nella stessa direzione. Fin da subito è stato chiaro che si trattasse della zona a nord della città, quella lingua di terra circondata da entrambi i lati dal mare che si immette direttamente nell’autostrada M14 diretta a Mykolayiv.

Per errore, avendo seguito i segnali nel cielo e non il navigatore dello smartphone, siamo arrivati dietro alle linee ferroviarie che si trovano nei pressi dell’area colpita. Addentrandoci in una specie di sfasciacarrozze abbiamo potuto constatare che si trattava di silos industriali, di quelli usati per contenere idrocarburi o materiali chimici. Ma stavolta, a differenza di quanto successo a Juzne pochi giorni prima, era evidente che si trattasse di gasolio.

Dal tettuccio di un camion abbiamo potuto constatare che i missili avevano colpito in diversi punti segnati ognuno da una colonna di fumo ben distinta. Le fiamme violente che avevano scoperto alcuni silos e minacciavano i depositi vicini coprivano i rumori delle ambulanze, delle auto della polizia e persino dei due vecchi agenti che, correndo, ci intimavano di andarcene e smettere di fotografare.

Ritornando sulla strada principale siamo riusciti ad aggirare il muro che delimita l’area e ad arrivare nei pressi degli altri silos colpiti. Anche qui la stessa scena, ma vista più da vicino. Se è vero che in ogni contesto in cui c’è un piccolo braciere che arde una delle frasi più frequenti che si sentono è “il fuoco ti ipnotizza, non si può smettere di guardarlo”, osservare quelle fiamme così alte e così intense sullo sfondo bluastro della notte odessita che svaniva ha fatto piombare tutti in una sorta di estasi.

Interrotta quasi subito dalle volanti della polizia che sono accorse sul luogo per evitare che i giornalisti diffondessero immagini dell’attacco. Il rischio principale, dicono, è che i russi utilizzino le immagini per valutare l’accuratezza della loro mira. Inoltre, le dirette che in molti lanciano sui social network, per funzionare devono trasmettere costantemente le coordinate di chi filma, il che potrebbe aiutare i nemici pronti a lanciare un secondo attacco.

Double tap (“doppio colpo”, ndr) dicono in inglese gli esperti di strategia militare, ovvero la tecnica di colpire un punto, attendere che arrivino i soccorsi e colpire di nuovo. In questo caso si trattava di un obiettivo strategico e quindi l’idea di massimizzare le vittime non sembra essere adeguata alla situazione, ma “questa è la legge”, hanno ripetuto più volte gli agenti che controllavano noi e gli altri giornalisti presenti, spesso obbligandoli a cancellare il materiale fotografico e video registrato nelle memorie delle camere e degli smartphone.

Intorno alle 10 il centro di Odessa era completamente saturo di un forte odore di gasolio combusto. Nel cielo di una giornata che si annunciava uggiosa si era dipinta una patina nera che avrebbe resistito fino al tramonto e in strada c’erano solo militari, agenti di polizia e qualche giornalista. Scambiando impressione e stanchezza accumulata si è riusciti a risalire al fatto che probabilmente quei depositi erano gli stessi che rifornivano le autobotti dirette ogni giorno verso Mykolayiv per alimentare i mezzi delle forze difensive ucraine.

L’obiettivo di Mosca, quindi, era quello di colpire la possibilità per l’esercito di Kiev di mobilizzare nuovi veicoli e di alimentare quelli già presenti sul campo. Stando a una frase detta a mezza bocca da uno degli attempati militari di guardia a uno degli ingressi dell’impianto, i silos erano già mezzi vuoti perché erano stati svuotati di recente. Ci è difficile verificare quest’informazione ma l’impressione che una tale quantità di combustibile avrebbe dovuto scatenare un vero e proprio scenario infernale nell’aria c’è stata fin dall’inizio.

Inoltre, stando alle dichiarazioni giunte nel corso della giornata dal comando regionale di Odessa, la contraerea ucraina sarebbe riuscita ad abbattere alcuni dei missili lanciati dai russi. Di conseguenza i silos potrebbero anche essere stati colpiti da frammenti delle testate esplose in volo o da frammenti degli stessi. Fatto sta che fin sa subito i vigili del fuoco si sono adoperati per ricoprire i silos ancora intatti con i potenti getti delle loro autobotti e per tentare di limitare la propagazione delle fiamme più che per spegnere quelle attive, ancora troppo potenti per intervenire.

Come se non bastasse, gli allarmi hanno continuato a suonare per tutto il giorno e verso le 23 si sono sentite nuove esplosioni, probabilmente provenienti dalla zona del porto a sud del centro. Ad ora sembra che quei boati siano stati provocati dall’esplosione dei missili colpiti dalla contraerea.

Nel frattempo, a Mykolayiv, sono continuati gli attacchi. Anche qui, nella più grande città ucraina a ridosso dell’oblast di Kherson occupato dai russi, diversi ordigni hanno colpito la città e le zone limitrofe ma, a differenza di Odessa, per gli abitanti di Mykolayiv questa non era una novità. Oggi i missili russi hanno colpito delle strutture nel centro città: un centro commerciale e un ospedale pediatrico.

Lentamente gli assertori della ritirata russa dalle zone del nord e verso la Bielorussia si stanno convertendo a un più tetro scenario di riposizionamento di truppe e, quindi, al prolungarsi delle operazioni. Dato la situazione nelle grandi città dell’est e a Mariupol, sembra che ormai il fronte sud sia davvero giunto al punto di svolta.

Difatti, sono ricominciate le previsioni su quando “l’attacco decisivo” sarà lanciato alle città costiere dell’Ucraina meridionale. Ma vaticinare sulla fine non è il nostro mestiere, per ora possiamo solo testimoniare che l’inasprimento degli scontri sul fronte sud è ormai una realtà.

Quanto ci vorrà perché anche qui si arrivi a una svolta è difficile dirlo. Soprattutto se si considera che a Kiev, nonostante gli sforzi, questa svolta non c’è stata; anzi dopo 36 giorni i russi hanno deciso di cambiare strategia. Lo stesso vale per Karkiv che, va detto, ha subito attacchi molto più pesanti e, persino, per Mariupol che, incredibilmente, ancora non è caduta.