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Atomica e strateghi da poltrona

Atomica e strateghi da poltrona1946, test atomico di Bikini, ammiragli in festa

Il 22-23 ottobre è il 60esimo della crisi dei missili a Cuba, quando una umanità disinformata scampò alla distruzione. Oggi sull’Ucraina torna la «normalità» dei rischi di una guerra nucleare

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 23 ottobre 2022

Se vi capita l’Economist di questa settimana trovate un articolo sul Nukespotting, ovvero sull’individuare per tempo eventuali missili russi con testate nucleari in arrivo, per prendere le opportune contromisure. Il gioco di parole si riferisce a un film di successo del 1996, Trainspotting, di Danny Boyle. L’umorismo macabro sulla guerra nucleare ha in effetti una lunga storia dietro di sé: nel 1946 due ammiragli americani si fecero fotografare davanti a una torta a forma di fungo atomico, per festeggiare il successo dei test nell’atollo di Bikini, che diede poi il nome al nuovo ed «esplosivo» costume da bagno. A partire dal 1952, la città di Las Vegas organizzò il concorso di bellezza Miss Atomic Bomb, dove prosperose show girls si contendevano l’onore di posare vestite con il solo simbolo dell’esplosione a coprire le loro curve. E il film Dottor Stranamore (1964) aveva per sottotitolo «Come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba».

DI COLPO, IN QUESTI GIORNI siamo stati catapultati indietro negli anni Cinquanta e Sessanta, quando il governo americano spese milioni di dollari nella più grande e assurda campagna di propaganda mai realizzata: convincere che una guerra nucleare con l’Unione Sovietica non sarebbe stata poi così disastrosa, a condizione di essere preparati. I cittadini ricevevano per posta opuscoli per costruirsi da soli un rifugio antiatomico in giardino o in cantina, i settimanali pubblicavano utili consigli sulle provviste essenziali per sopravvivere qualche settimana e lo spirito imprenditoriale americano trionfava: sul mercato apparivano rifugi «chiavi in mano» per tutte le tasche. Le foto di questa pagina mostrano famigliole felici (mamma, papà e bambini) sorridenti nei loro cubicoli dotati di letti a castello, scatolame a volontà e improbabili filtri per purificare l’aria radioattiva proveniente da fuori.

IN UNA PUBBLICITÀ il maschietto di casa gira la manovella del filtro mentre i genitori (vestiti come per andare a un party) sorridono tranquilli e la sorellina gioca con la sua bambola. In un’altra, la madre pedala su una cyclette, sempre per alimentare il filtro. L’idea che la vita sottoterra per settimane o mesi potesse diventare psicologicamente insostenibile dopo pochi giorni è completamente assente. La copertina di un manuale intitolato Fallout Shelter Handbook mostra il marito che tranquillamente fuma la pipa mentre legge il giornale, la moglie che apre la dispensa e la figlia che prepara la tavola per la cena, come se underground la vita di tutti i giorni continuasse senza problemi. Esquire pubblicava una copertina in cui una coppia in abiti da città presentava la propria «arca di Noè»: due cammelli, due leoni, due tacchini e due galline. Life, allora il più importante settimanale americano, metteva in copertina un tizio dentro una tuta antiradiazioni, con la bizzarra affermazione che il 97% dei cittadini avrebbe potuto salvarsi da una guerra nucleare totale, se dotati di rifugi familiari adatti.

TUTTO QUESTO, naturalmente, era una miscela di assurdità, menzogne e cinismo. Il governo (prima Truman, poi Eisenhower e poi Kennedy) sapeva bene che gli effetti delle radiazioni sono durevoli e mortali: oltre ai test condotti dai militari c’erano i dati raccolti dopo la distruzione di Hiroshima e Nagasaki, con le migliaia di giapponesi che morivano a distanza di mesi o anni dalle esplosioni. Le cose si sapevano non solo perché gli scienziati lo dicevano pubblicamente ma anche perché il giornalista australiano John Hersey era andato a Hiroshima aggirando i controlli e aveva pubblicato il suo reportage prima sul New Yorker e poi in un bestseller, nel 1946, descrivendo le conseguenze del bombardamento sull’uomo della strada. Il vero scopo della campagna diretta ai cittadini americani era in realtà intimidire l’Urss, anch’essa una potenza nucleare dopo il 1948. La costruzione di inutili rifugi serviva a convincere i sovietici che gli Stati Uniti erano disposti a correre il rischio di una guerra totale e quindi dovevano avere mano libera sull’intero pianeta. John Kennedy è passato alla storia come un uomo di pace ma fu lui uno dei maggiori promotori del programma pudicamente soprannominato Civil Defense.

QUESTO 22-23 OTTOBRE l’umanità intera dovrebbe festeggiare: è infatti l’anniversario del momento in cui l’intero pianeta scampò alla distruzione, durante la crisi dei missili a Cuba. Sulla storia di quel confronto fra le due superpotenze si sono scritte intere biblioteche ma è rimasto in ombra un episodio, quello in cui una sommergibile russo con una testata nucleare a bordo, fu sul punto di lanciarla pensando di essere sotto attacco da parte della marina americana. Era autorizzato a farlo da istruzioni confuse del Cremlino e dal comportamento aggressivo della U.S. Navy, che voleva costringerlo ad emergere mentre si trovava nelle acque dei Caraibi. Fu l’allora vicepresidente Lyndon Johnson a insistere perché la marina non creasse un incidente con potenziali pericoli di escalation. La catastrofe fu evitata per puro miracolo: il capitano del sommergibile aveva già dato ordine di prepararsi al lancio.

Oggi politici irresponsabili e strateghi da poltrona parlano di Nukespotting a proposito dell’Ucraina ma non è detto che, a 60 anni di distanza dall’ottobre cubano, l’umanità sia altrettanto fortunata.

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