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Ascesa delle destre e declino dell’Unione europea

Nuova Finanza Pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova Finanza Pubblica
Pubblicato 3 mesi faEdizione del 3 agosto 2024

Il voto europeo e la sua più importante ricaduta sul piano elettorale – le elezioni legislative francesi – sono alle spalle, lasciandoci con diversi interrogativi, tra cui: la famosa “marea nera” della destra radicale c’è stata davvero?

I tre gruppi del Parlamento europeo che includono le forze di destra radicale comprendono, rispettivamente, 84, 58 e 25 deputati, per un totale di 167 su 720 seggi. Il 23% dell’eurocamera. Per chi temeva una maggioranza relativa, non tanti; per chi vi vede l’avvento di nuovi fascismi un’enormità.

Respingendo ogni tentazione di facile economicismo, si deve considerare necessaria una analisi che tenti di leggere tali risultati alla luce di alcuni dati economici. In questa prospettiva il dato che più impressiona è che i gruppi identitari più significativi vengono da Francia, Germania, Italia e Polonia. Il voto estremista è normalmente sinonimo di un deterioramento sociale, com’è possibile che si verifichi nei due paesi considerati le forze politicamente trainanti della Ue, tanto da essere denominate come «l’informale direttorio franco-tedesco» che ha governato il continente? Degli 81 seggi francesi 30 sono andati al partito di Le Pen e dei 96 tedeschi ben 14 vanno all’Afd, considerato per alcune sue frange nostalgico del nazismo.

I fenomeni macroeconomici in cui inquadrare tale esito elettorale sono: l’indebolimento della Ue, le crisi continue e le loro conseguenze. Sul primo punto il Financial Times ha rilevato la crescente divergenza rispetto agli Usa: «Nel 2008 l’economia dell’Ue era un po’ più grande di quella americana: 16,2 trilioni di dollari contro 14,7 trilioni di dollari. Entro il 2022, l’economia degli Stati Uniti era cresciuta fino a 25 trilioni di dollari, mentre l’Ue e il Regno Unito insieme avevano raggiunto solo 19,8 trilioni di dollari. L’economia americana è ora quasi un terzo più grande. È più grande di oltre il 50% rispetto all’Ue senza il Regno Unito».

Questo mortificante quadro fa capire perché la Ue sia diventata priva di peso e autonomia politica. Ma la guerra che le cancellerie europee non sono riuscite a evitare rafforza tale stato di cose: l’inflazione già in ascesa nel 2021 viene accelerata dalla guerra e dalle sanzioni che, come nota sempre il Financial Times, rende l’energia più costosa rispetto alla concorrenza delle aziende Usa. Questo si traduce in un indebolimento delle classi lavoratrici che si trovano ad annaspare.

Focalizziamoci sulla Francia: una ricerca dell’Istituto Montaigne indica che l’85% degli intervistati pensa che il paese sia in declino. Prima preoccupazione il potere d’acquisto (46%), sopravanzando ambiente, immigrazione e terrorismo. Da anni il paese vede mobilitazioni di massa contro le riforme di Macron, mentre la deindustrializzazione avanza: due milioni e mezzo di posti di lavoro persi nel settore. In più Parigi sta pure perdendo l’influenza neocoloniale in Africa. C’è da stupirsi se un 45% degli intervistati nella stessa inchiesta si dichiarano più vicini a una Francia «in collera e molto contestatrice»?

Il logoramento della struttura industriale ha come conseguenza un deficit commerciale: importando più di quanto non si esporti si forma un debito con l’estero. L’anno scorso in Francia è aumentato di 100 miliardi di euro, globalmente raggiunge i 1000 miliardi.
Non è un panorama positivo nemmeno sul fronte della finanza pubblica; la Commissione ha messo sotto pressione Parigi con la procedura di infrazione per deficit eccessivo (era spuntata la previsione del 5% sul pil e la cifra massima dovrebbe essere 3%). Anche per questo si prevede che il fronte delle sinistre uscito vincitore dalle legislative avrà difficoltà ad attuare il suo programma.

Peraltro proprio nella fase in cui vertici Ue e governi nazionali vogliono aumentare le spese per armi e militare, e ritorna in vigore il Patto di Stabilità sospeso nel 2020, le cui norme vengono attuate con larghissima base di discrezionalità, e nelle analisi finanziarie si parla senza pudore di «doppi standard»; la Francia è stata già in passato salvata (al contrario di paesi come la Grecia), ma potrà accadere di nuovo?

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